“Se una donna non sa accendere il fuoco non sa nemmeno fare l’amore.”
(La nonna di un’amica)
Quest’anno, per la prima volta nella mia vita, vivo in una casa riscaldata unicamente da una bellissima stufa a legna.
Ogni giorno dedico tempo al fuoco.
Il calore della legna è diverso da quello dei termosifoni o del pellet. E’ un calore vivo, che aumenta, diminuisce, si trasforma, va badato. E si diffonde, la sua aura cresce e riempie la casa, una nuvola accogliente. Il fuoco, mi rendo conto, è il centro della casa, il suo cuore. Quando fuori fa freddo, a un livello profondo accendere il fuoco significa garantirsi la sopravvivenza. E’ un gesto primordiale e potente a cui anche gli animali di casa assistono con grande interesse.
Circa un milione e mezzo di anni fa, in Africa, i primi uomini della nostra Era impararono a controllare il fuoco. Fu una conquista fondamentale. Con il fuoco, l’uomo imparava a controllare l’intuizione, a utilizzarla come strumento. Con il fuoco poteva allungare le ore di luce, difendersi, cucinare il cibo, scaldarsi (e quindi sopravvivere anche in climi freddi), costruire utensili (cucinando la terra o i metalli) e trasformare le sostanze attraverso il calore.
Fu una scoperta così importante che non si volle mai più perderla. Era riconosciuta come un dono sacro e nei rituali ancestrali era legata alla Dea nella sua forma di Uccello. Presso molte tradizioni antiche esisteva un altare su cui ardeva perennemente un fuoco considerato sacro, con sacerdotesse esclusivamente dedicate a tenerlo sempre acceso. Era così anche più recentemente, nell’antica Grecia e a Roma, dove Estia/Vesta era onorata come dea del focolare e le vestali fin da bambine venivano scelte e consacrate alla dea, come lei per sempre vergini.
Era così nell’Irlanda celtica, dove il fuoco della dea Birgit, a Kildare, non veniva mai lasciato spegnersi. Birgit rappresentava l’aspetto luminoso della Triplice Dea, la Dea fanciulla della Luce e della Rinascita, rappresentata anche come candido cigno, legata al solstizio invernale e alla speranza. In epoca cattolica venne sostituita da Santa Brigitta, e le sue sacerdotesse con delle suore.
Nell’antica Grecia, dove la dualità maschile/femminile non trova soluzione, Estia era la maggiore dei figli di Zeus. Presenza discreta sull’Olimpo, quasi mai partecipava alle vicende tempestose dei fratelli. E’ spesso rappresentata come un’anziana ed è una delle dee vergini (insieme ad Atena e Artemide).
In Grecia, nelle case, l’altare di Estia aveva forma circolare e coincideva con il focolare, rappresentando perciò il centro attorno a cui ruotava la vita famigliare.
Estia: silenziosa ma centrale.
Fuori dalla porta invece si trovava l’altare di Ermes, a forma di colonna – quindi fallico, opposto all’altare di Estia. Ermes (Apollo o Mercurio per i Romani), dio della comunicazione, del commercio, della medicina, dei furti e dei viaggi, era l’ultimo dei figli di Zeus ed Era, il più giovane. Presso le civiltà indoeuropee patriarcali abbiamo quindi un principio femminile chiuso e protetto, silenzioso e nascosto, tenuto accuratamente separato dal principio maschile attivo e protettore, dedicato all’esteriorità e all’azione.
Estia è una dea dimenticata, quasi mai rappresentata, oggi spesso ignota. Nelle società patriarcali la sua figura diviene discreta e gode di pochissimo appeal, identificata con la figura della “zia nubile”, l’archetipo della vecchia saggia e discreta, che si occupa degli altri senza chiedere nulla. La donna di casa, l’angelo del focolare, senza passioni né desideri personali, che si dedica ai famigliari scaldandone le vite con delicata arte. La donna che si annulla volentieri, sta sullo sfondo e non ha ambizioni. Anorgasmica -o in grado di soddisfarsi da sola-, non si innamora facilmente e presso alcune culture è considerata proprio la moglie ideale, ma di certo presso le donne di oggi il suo archetipo non gode di grande seguito. E’ una voce nascosta e messa da parte, un po’ disprezzata perché così tanto e così a lungo travisata e ridotta dalla visione patrifocale.
Il simbolo di Estia è il cerchio, perché è completa in se stessa ma anche perché è la forma vuota pronta ad accogliere. In India, il cerchio e la colonna che presso i Greci vengono tenuti separati sono rappresentati insieme: la colonna (il lingam, ovvero il fallo del divino Shiva) è al centro di un cerchio che rappresenta la sacra Yoni. Il principio maschile e femminile sono così riuniti e fusi in un unico altare.
Penso che meriti una riflessione in più, oggi, questa dea dimenticata.
Estia è la custode del fuoco, la donna completa che percepisce il suo corpo come un tempio e proprio per questo è pronta a dare. Il suo è un dare sacro, rituale. E’ la donna iniziata, che conosce il mistero del fuoco. E’ la protettrice dall’oscurità, il focolare, l’altare, lo spazio sacro.
La sua sessualità è libera e disinteressata, perché lei sa come accendere il fuoco. Non ha bisogno di un uomo per farlo, il suo cerchio è completo e ciò che accoglie nel suo centro non lo accoglie per bisogno ma per vocazione. Perché il calore del suo fuoco può riscaldare altre persone oltre a lei.
Estia è la donna che sta nel suo centro e da lì dona, come nei Tarocchi il Sette di Coppe, dove da una coppa trabordante al centro l’acqua fluisce e riempie anche le altre coppe.
E’ l’aspetto statico della Dea, quieto, laddove Afrodite rappresenta la dea alchemica della trasformazione. Estia governa il fuoco, Afrodite si lascia infiammare. Sono due aspetti complementari della Dea, due fasi (delle tante).
Se la Estia che vive come archetipo dentro ognuna di noi viene nutrita, ciò risulterà in un profondo equilibrio interiore. Estia è la dea del silenzio e della luce. La sua voce si può udire nello scoppiettare del fuoco e se si entra nel suo cerchio magico il tempo smette di esistere.
Saremo donne che non agiscono per bisogno ma per scelta.
Se una donna sa stare da sola e proteggere il suo tempio interiore, il suo amore sarà sempre un dono e al tempo stesso nessun amore la potrà mai estinguere.
Le basterà chiudere gli occhi per rivedere il bianco del suo cerchio nella luce attraversata dai voli di uccelli nei mattini d’inverno, e sapere esattamente dove si trova.
Estia è la dea che non teme l’inverno e che, se si perde, riesce a trovare la strada di casa semplicemente tracciando un cerchio intorno a sé. Estia sa che, invisibile in mezzo al ghiaccio, arde una fiamma antica che non si spegne mai. E’ il fuoco mistico da cui nascono tutte le storie. E’ infatti, questa dea misteriosa, anche la dea dei racconti intorno al focolare. La dea delle tradizioni segrete, dei racconti iniziatici e dell’antica sapienza. Il nocciolo incandescente che alimenta il motore della Vita. Sembra lontana e dimenticata ma in realtà la sua voce silente è sempre lì per noi, come lo sguardo di una nonna, di una saggia ava che non teme nulla e che conosce il dolore, la solitudine, l’arte di amare.
Dedichiamo tempo al nostro fuoco interiore. Non lasciamo che il nostro tempio diventi una caverna ghiacciata. Sciogliamo con la nostra fiamma le emozioni intrappolate e lasciamole scorrere come acqua, anche fossero lacrime. Sono il nostro filo diretto con il Mare, nostra madre.
Giorgia Rossi
Bibliografia:
-J.S. Bolen, Le dee dentro la donna, Astrolabio, Roma 1991
-V. Noble, Madrepace, Psiche 2, Torino 2009 -M.Stone, Quando dio era una donna, Venexia, Roma 2011