Ho letto una poesia che mi ha toccato profondamente. Alla prima lettura, mi sembrava assurda; alla seconda, ho capito quanto il titolo fosse importante; alla terza, mi sono commossa per la sua bellezza e per la profondità delle sue parole. Te la propongo oggi sperando che la leggerai anche tu più di una volta.
A mio avviso, più che una poesia è una mappa per scoprire la bellezza paradossale; scritta da Maria Wislawa Anna Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012), scrittrice e poetessa polacca che si distingue per il paradosso delle sue poesie e per lo stile assai minimalista: usa parole semplici e figure di stile quali ironia, litote e paradosso, per parlare di temi importanti e particolarmente complessi che si manifestano quasi in dissolvenza attraverso le righe dei suoi scritti. Forse questa sua particolarità deriva da un passato marcato dalla guerra e dalle ideologie politiche del suo tempo che le valsero pure la censura del suo primo libro, Dlatego żyjemy, “Per questo viviamo”.
Lo scoprirai, le sue poesie sembrano scritte in filigrana: per evitare di cogliere un significato magari troppo superficiale e parziale delle sue parole, bisogna osservare la sua scrittura sotto diversi punti di vista perché Wislawa Szymborska amava usare il paradosso e la contraddizione nelle sue poesie per comunicare al lettore molto di più di ciò che poteva essere veicolato dall’inchiostro.
“Sotto una piccola stella”, la poesia di Wislawa Szymborska
“Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.
Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.
Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.
Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.
Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.
Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.
Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.
Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.
Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d’acqua.
E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,
immobile, con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,
assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.
Chiedo scusa all’albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.
Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.
Verità, non prestarmi troppa attenzione.
Serietà, sii magnanima con me.
Sopporta, mistero dell’esistenza, se tiro via fili dal tuo strascico.
Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.
Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.
Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.
So che finché vivo niente mi giustifica,
perché io stessa mi sono d’ostacolo.
Non avermene, lingua, se prendo in prestito
parole patetiche, e poi fatico per farle sembrare leggere.”
La bellezza paradossale per cogliere le sfumature della vita
Questa poesia è un atto di ribellione, è la rivolta di un’individualità che rifiuta di sciogliersi nel magma amorfo del mondo e lo fa allo stesso tempo con umiltà, con la conoscenza delle sfumature dell’esistenza che coinvolge anche l’altro, e lo fa anche con leggerezza affermando sempre il proprio diritto ad agire al contrario, a sbagliare e a voler uscire dal flusso comune di pensiero che ci vorrebbe perfetti.
È una vera boccata d’aria: possiamo vivere malgrado tante cose ed essere felici di vivere ugualmente senza avere bisogno di giustificarci.
La poetessa ci invita ad uscire dall’assolutismo, dal pensiero manicheista che si affanna alla ricerca della perfezione, e preferisce guidarci in un lungo viaggio fatto di piccoli passi alla ricerca della sfumatura, del granello di sabbia, del piccolo che si perde nell’immensità ma ne racchiude tutte le potenzialità; ci guida alla ricerca dell’essere umano nella sua più completa imperfezione e che raggiunge la saggezza nell’accettare questa sua condizione non con fatalità, ma con consapevolezza e rispetto verso la propria identità, come a voler dire: “Se le cose stanno in un modo, ho il potere di decidere di comportarmi in modo contrario e di essere felice lo stesso, dopotutto è la mia vita, pur piccola che sia sotto questo cielo”.
Ed è così che si porta equilibrio nella vita usando il potere del paradosso, del contrario: un equilibrio dinamico che permette di evitare di precipitare negli assolutismi, rimanendo consci che la vita è fatta di sfumature che creiamo ed altre di cui facciamo parte: siamo il punto d’incrocio tra molti inizi e conclusioni e pure noi in futuro giungeremo ad essere una conclusione dentro chi sa quale grande meccanismo.
Ecco che, ad un livello più profondo di lettura, si palesa il coraggio di vivere come si vuole, o meglio, come si è, e di seguire la propria natura nella sua evoluzione perché il movimento fa parte della sua essenza: un movimento alimentato dal paradosso che destabilizza il concetto di perfezione con ironia; e in questo movimento tra due opposti, si indovina la mappa per giungere alla via di mezzo, ben nascosta tra l’inchiostro e la pagina.
“Sotto una piccola stella” è una storia di contraddizioni che occorre svelare per capire la bellezza paradossale della vita umana, ma ci vuole coraggio per coglierla, quella bellezza, anche se siamo piccoli sotto il cielo, anche se le nostre azioni possono sembrare inutili o insensate.
“So che finché vivo niente mi giustifica”
Ed è qui la bellezza paradossale della vita: vivere malgrado tutto, vivere a prescindere, vivere anche se.
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in discipline Bio-naturali
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