Quante volte ricadiamo nelle stesse trappole e ogni volta ci ripromettiamo di non ricaderci più? È come se scegliessimo di farci deliberatamente del male, sapendo benissimo come andrà a finire ma è più forte di noi: siamo intrappolati in un girone infernale e non c’è verso di uscirne.
Sto parlando delle cattive abitudini che ci fanno ammalare, del tira e molla con l’ex storico, delle credenze e loop mentali che ci spingono a prendere le solite decisioni infelici,…
Perché la nostra mente continua a girare come un topolino nella sua ruota, senza accorgersi che la gabbia è rimasta aperta e che la libertà è a portata di mano, senza rendersi conto che un futuro diverso è possibile?
Perché ci piace così, o almeno, piace ad una parte di noi: quella che ha paura del cambiamento.
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Perché facciamo fatica a chiudere i cicli?
Chiudere i cicli significa rinunciare, andare per la propria strada senza voltarsi indietro, vuol dire fare il lutto di qualcosa al quale eravamo legato, nel bene e nel male, ma significa anche lasciar andare ciò che si conosce e che ci dà in qualche modo un certo senso di sicurezza.
Chiudere i cicli implica riuscire a lasciar andare il passato e andare avanti, con un fardello in meno sul cuore e sulle spalle, verso l’ignoto.
“La rinuncia non è sempre una sconfitta, anzi a volte è necessaria. Non si trova la strada giusta, se non si ha la forza di abbandonare quella sbagliata.”
(Antonio Curnetta)
Rinunciare significa scegliere, decidere cosa seguire tra un passato doloroso che si ripete senza sosta e un futuro incerto, ma in questa equazione, manca un tempo importante: il presente, l’unico tempo in cui puoi davvero agire; è la chiave di volta del cambiamento: se manca questo momento in cui sei centrato in te, nulla cambierà nella tua vita.
Ed ecco perché facciamo fatica a chiudere i cicli: non siamo abituati a vivere nel presente; siamo costantemente proiettati nel domani oppure il nostro sguardo rimane fisso sulle orme che abbiamo lasciato dietro di noi…
Come chiudere i cicli: la regola dei 3 “presenti”
“Bisogna chiudere i cicli. Non per orgoglio, per incapacità o per superbia: semplicemente perché quella cosa esula ormai dalla tua vita. Chiudi la porta, cambia musica, pulisci la casa, rimuovi la polvere. Smetti di essere chi eri e trasformati in chi sei.”
(Paulo Coelho)
Ad ogni ciclo che riesci a chiudere, è un frammento di te che recuperi: perché chiudere i cicli richiede di saper guardarsi dentro con onestà, significa diventare un po’ più consapevole, un po’ più conscio delle proprie forze e debolezze, vuol dire conoscersi meglio e crescere, implica togliersi di dosso quelle maschere che ci fanno sentire al sicuro ma che sono solo illusioni e bugie.
Ma per chiudere i cicli devi essere presente, in tutti i sensi: presente in te, consapevole di ciò che stai vivendo e di chi sei, e agire nel qui ed ora, unendo mente, cuore e anima.
Fase 1. Il lutto (il presente rivolto al passato)
Sei qui, alla fine di un ciclo, ma non lo hai ancora chiuso; mosso dalla nostalgia e dai tuoi filtri mentali, stai ripensando a tutti i momenti felici passati e trovi più motivi per ripeterlo che per chiuderlo.
Fermati e torna con la tua mente dove ti trovi ora. Esamina bene come questo passato “roseo” ti ha ridotto, in quali condizioni sei. Osservati nel presente e prendi coscienza dei frutti che questo passato ha prodotto.
Ti richiederà una buona dose di onestà e di sincerità verso di te; la tua mente tenterà di riportarti a quel luogo conosciuto che non la confronta con la paura del cambiamento, ma è importante che tu rimanga presente in te stesso: è ora di differenziare il grano dalla gramigna, di farlo con coscienziosità.
Se si tratta di un ciclo recidivo, avrai già ottimi motivi per chiuderlo. Fallo e dati la possibilità di vivere pienamente le fasi del lutto senza vergogna né sensi di colpa.
Le fasi del lutto sono:
- Negazione (“non è possibile, non sta succedendo davvero.”)
- Rabbia (“non è giusto, non doveva finire così!”)
- Contrattazione (“le cose ora cambieranno.”)
- Depressione (“non ce la farò mai.”)
- Accettazione (“è ora di voltare pagina!”)
Fase 2. L’attesa (il presente assoluto)
Hai girato pagina ma per essere sicuro di chiudere davvero il ciclo disfunzionale, bisogna andare a fondo, è a questo che serve la fase 2.
L’attesa è la fase più enigmatica: aspettare non significa stare fermi a non fare nulla o essere passivi, anzi! L’attesa è un momento attivo e di grande subbuglio interiore: è il tempo dell’osservazione coi raggi X, del bilancio, dei pro e contro, della riflessione analitica.
È una pausa dal mondo esterno per meglio agire dentro di te, è il Tempo del Silenzio che ti aiuta a concentrare le tue energie sulla tua interiorità per scavare, per trovare la radice del problema che ha causato la ripetizione disfunzionale e guarirla trasformandola; perché dietro ogni scelta sbagliata o comportamento che ci causa dolore, c’è una ferita aperta che chiede di essere curata.
Il presente assoluto è il qui ed ora che ti permette di entrare in contatto con la tua essenza per guarire quelle ferite nascoste nel tuo profondo.
Fase 3. La rinascita (il presente rivolto al futuro)
La rinascita è il primo passo dopo il Tempo del Silenzio, è il primo germoglio della tua nuova primavera; è la prima azione che compi nella direzione che hai scelto di seguire e che è in armonia con ciò che sei. Non ti parlo di opere compiute o di obiettivi raggiunti ma di un primo passo mosso con consapevolezza e presenza di spirito.
Ti parlo della tua prima azione nel mondo dopo aver chiuso definitivamente il ciclo disfunzionale. Questa è la rinascita: è la prima manifestazione di una nuova forma di vita, di una trasformazione. Il resto del percorso, lo farai con i tuoi tempi, con fiducia e senza paure, sicuro/a di essere sulla strada giusta.
“La vita non è una gara ma un viaggio da assaporarsi in ogni suo passo lungo il percorso. Ieri è storia, domani è mistero e oggi è un dono: è perciò che lo chiamiamo Presente.”
(Bil Keane)
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e shamanic storyteller
www.risorsedellanima.it