Qualche giorno fa ho visto una trasmissione francese che mi ha fatto molto riflettere sul tema della paternità: la segretaria di Stato francese incaricata del ministero per le pari opportunità, Marlène Schiappa, illustrava quanto il mondo del lavoro era riluttante al ritorno delle madri sul posto di lavoro dopo il congedo di maternità e quanto il congedo di paternità era in realtà una chiave cruciale, sia nella questione del ritorno delle donne alla loro vita lavorativa sia per il diritto dei papà a “fare il papà”.
Facciamo quindi un po’ il punto sul congedo di paternità in Italia e sulla sua funzione.
Perché si pensa che il congedo genitoriale sia un diritto per le madri e un optional per i papà?
Purtroppo questa concezione è anche un grande freno sia nella famiglia che nella società: frena il ritorno delle mamme alla loro vita lavorativa (per chi lo desidera) ma nello stesso tempo, impedisce ai padri di fare conoscenza come si deve col neonato e calarsi nel nuovo ruolo che gli spetta di diritto.
Non è perché non hanno tenuto il bambino nella pancia che i padri valgono meno come genitori, che sono meno importanti, anzi: il ruolo dei papà è importantissimo ma si pensa, a torto, che il ruolo del padre nella famiglia si limiti a portare il pane in tavola.
Il ruolo di padre va oltre gli stereotipi
Da una parte c’è una mamma che dedica 9 mesi di gravidanza + 3 di congedo maternità al conoscere il bambino, a trovare un nuovo equilibrio sia come donna (e ora madre) sia nella sua vita dove il suo cuore avrà un motivo in più per battere.
Ai papà, già un po’ tagliati fuori durante la gravidanza (chiedete intorno a voi se qualcuno non si è un po’ ingelosito per non aver potuto percepire il bambino come la mamma), dopo il parto non gli viene neanche dato la possibilità di vestire, sia psicologicamente che fisicamente parlando, i panni del padre.
Ha pochissimi giorni a disposizione per rendersi conto che è diventato papà e che quella piccola meraviglia che tiene in braccio è il suo bambino, per prendersi cura della mamma ancora frastornata dal parto e per capire come riorganizzare l’andamento di casa.
Materialmente parlando non ne ha il tempo perché la società lo richiama al suo ruolo di lavoratore e così non ha il tempo di fare conoscenza con il suo bambino, di assaporare quei preziosissimi primi giorni e di accogliere serenamente il suo nuovo ruolo, anzi. Implicitamente gli viene comunicato che per essere un buon padre, deve essere un buon lavoratore e basta.
Il “non fare mancare di nulla alla famiglia” viene così ridotto all’aspetto economico, tralasciando allegramente il resto del vero ruolo dell’uomo in famiglia: protettore, guida, insegnante, figura amorevole e presente.
Perdere i momenti più belli: il fardello dei padri
Sono molti i papà che, tornando dal lavoro tardi, vedono i loro figli crescere nella culla mentre dormono.
È un dolore che molti uomini si tengono dentro e di cui nessuno parla.
E se questa concezione sta stretto al neo-papà, gli viene comunque inculcato che quello è il suo compito e che ciò che sente giusto, ovvero fare il papà a 360° prendendosi cura del bambino, cambiandolo, dandogli il biberon, prendendosi cura della mamma e partecipando alla vita in casa è un aiuto e non il suo vero ruolo, ma un semplice quanto gradito aiuto.
Un optional, in poche parole.
Qui, ce ne sarebbe ancora molto da dire sul fatto che la società sta rinchiudendo le persone in ruoli così stretti da non permettere loro di esprimere liberamente tutto il loro potenziale: le donne sono viste quasi esclusivamente a scopo procreativo e gli uomini come lavoratori; ruoli talmente stretti che portano entrambi ad un profondo senso di incompletezza.
Ma visto che fin’ora ho parlato della paternità in modo forse un po’ troppo astratto, vediamo in modo più concreto cosa hanno i neo-papà a disposizione per imparare a fare i papà…
Imparare a fare il papà: il congedo paternità (in cifre)
Il congedo di maternità è un diritto della madre, sia per riprendersi dal parto che per prendersi cura del bebè; ma cosa ne è del congedo di paternità? Ecco cosa ne dice l’Inps:
“Per i padri la legge 28 giugno 2012, n.92, ha inoltre introdotto in via sperimentale misure a sostegno della genitorialità che sono state prorogate anche per l’anno 2017 dalla legge 232/2016 (legge di bilancio per il 2017)”.
Ciò che mi ha davvero scandalizzata è il numero di giorni a disposizione dei papà per poter rimanere con il loro bambino…
In Francia
Il congedo di paternità dura 11 giorni. Lo Stato sta lavorando ad un nuovo decreto per prolungarne la durata e permettere ai papà di “tessere legami più forti con il neonato e prendersi cura della mamma”, comeaffermato da Marlène Schiappa.
In Quebec
Il congedo genitoriale dura 52 settimane e può essere ripartito tra i due genitori, a loro scelta; inoltre il congedo di paternità può durare da 3 a 5 settimane (con retribuzione al 70-75%).
In Italia
Il congedo di paternità obbligatorio dura… 4 giorni!
Ora, tutti i papà sanno che 4 giorni sono non fin troppo pochi per capire come comportarsi con quella creatura che dopo lunghi mesi di attesa è finalmente venuta al mondo; ma oltre il conoscersi, il tessere i legami affettivi tra papà e neonato, c’è tutta l’organizzazione della vita che viene messa sotto-sopra e per tutto questo, il neo-papà ha solo 4 giorni a disposizione.
Mentre la mamma tiene il bambino nella sua pancia per 9 mesi + 3 mesi a disposizione post-partum per prendersi cura del bambino e guarire dal parto, i papà sono praticamente “tagliati fuori” già da subito.
Il problema è che “si nasce” genitore, assieme al bambino, e ci vuole tempo per capire cosa bisogna fare, come comportarsi, come riconoscere i segnali del bambino perché è un linguaggio totalmente nuovo e sconosciuto.
A volte ci vogliono settimane alla mamma per “decriptare” i diversi pianti del proprio bambino; 4 giorni servono, del sì e no, ai papà per imparare a cambiare un pannolino dalla A alla Z senza andare in panico.
Ok, ma il resto?
Una possibile soluzione per mamma e papà
Spesso da una parte abbiamo una mamma che vuole tornare al lavoro ma non può, perché deve prendersi cura del bambino, e dall’altra abbiamo un papà che vorrebbe stare di più col proprio bambino ma non può perché deve andare al lavoro…
La soluzione sarebbe molto semplice ma richiederebbe un esercizio di flessibilità mentale sulla concezione di chi deve fare cosa secondo il proprio ruolo (o sesso?) nella famiglia; oltre a questo servirebbe un reale aiuto dello Stato per le famiglie: la garanzia di non perdere il posto di lavoro e un congedo remunerato, almeno in parte, che permetta ad entrambi i genitori di essere presenti nelle prime settimane di vita del bambino.
Se da una parte si fa ricadere tutto il peso della genitorialità sulle spalle delle madri, che si ritrovano spesso a dover rinunciare al proprio lavoro, dall’altra parte abbiamo degli uomini costretti a dover rinunciare ai primi passi, alle prime parole e a tutti quei momenti preziosi della vita del bambino che non torneranno mai indietro, perché essere padre nella società di oggi significa essere lavoratore.
Ma se già dal momento del parto diamo la possibilità agli uomini di accompagnare i propri figli, permettiamo a loro di diventare (fisicamente e psicologicamente) padri, se diamo loro il tempo di vestire uno dei ruoli più belli e più importanti per i bambini, allora avremo non solo un bambino più felice e sereno circondato dai suoi due genitori ma anche una mamma più rispettata nel suo ruolo di donna e, finalmente, un papà più sereno e rispettato nella sua identità maschile che potrà godersi tutti quegli attimi preziosi della vita che, a differenze delle generazioni di papà che l’hanno preceduto, non si ritroverà a rimpiangere quando sarà arrivato alla pensione.
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e shamanic storyteller
www.risorsedellanima.it