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Curiosità

Forest Garden: l'uomo diventa custode di un giardino incantato. Ecco come realizzarlo

Di Giorgia Rossi - 12 Settembre 2017

Come e perché realizzare un Forest Garden
Sarà che sono un’appassionata di Alice nel Paese delle Meraviglie, ma quando penso al Forest Garden, quando ne visualizzo il concetto, mi viene sempre in mente la scena del Giardino dei Fiori che Parlano, nel secondo capitolo di Attraverso lo Specchio. Alice seguendo un sentiero senza senso arriva in un giardino i cui fiori possono parlare, e ogni fiore ha il suo ben preciso carattere.
Il collegamento con l’idea di Forest Garden sta ovviamente nel fatto che anche lì, come in realtà in ogni bosco e in ogni ecosistema naturale, le piante parlano, fra di loro, con gli insetti, gli uccelli, gli animali e ovviamente con noi. Intessono una continua conversazione multisensoriale, attraverso impulsi ellettrici delle radici, messaggi chimiche traspostati dalle ife dei funghi (sottilissimi filamenti che, come le terminazioni di un sistema nervoso, esplorano il terreno in cerca di segnali e nutrimento); attraverso messaggi chimici olfattivi, attraverso i colori dei loro fiori, a volte anche con messaggi sonori. Schiocchi, scoppi, scrocchiare di rami o foglie. Nel mondo vegetale (e non solo in quello direi) ogni evento, ogni dettaglio è un messaggio, un sintomo e un simbolo. Tutto fa parte di un discorso più ampio, di una sinfonia.
Il Forest Garden rappresenta da un lato l’ultima frontiera della permacultura, dall’altro un ritorno alle più remote origini.
Si tratta di piantare e coltivare un bosco, prediligendo in esso la prolificazione di piante commestibili o comunque amiche dell’uomo (officinali, tintorie, dotate di qualche utile proprietà).
Quindi non limitarsi a coltivare orticole, piante annuali, ma ricreare un vero e proprio bosco, ovviamente perenne, che può essere di qualunque dimensione, molto piccolo oppure molto grande, con l’obiettivo di contribuire alla creazione, nel giro di una decina di anni, di un ecosistema autonomo, autofertilizzantesi, vivo e sinergico, ovvero vivificato dalla continua cooperazione delle specie animali e vegetali presenti; che offre cibo e sostanze utili in cambio delle mie cure (potature necessarie, irrigazione durante periodi di siccità, selezione accurata delle specie presenti, in armonia con la natura).
In questo modo, oltre a produrre il nostro cibo, contribuiremo anche alla produzione di suolo e all’aumento della sua fertilità, che sta attualmente scomparendo esponenzialmente, con il processo di desertificazione causato dai metodi dell’agricoltura convenzionale, che lascia il suolo scoperto e soggetto a dilavazione da parte degli agenti atmosferici (tra l’altro dopo averlo prima lavorato in profondità, sconvolgendone e sterminandone, in molti casi, la flora batterica).
Per poter fare un Forest Garden è necessario osservare la natura e imitarne il comportamento. Alla base dell’idea di forest garden c’è infatti la convinzione che la natura e la Terra siano vive, in quanto comunità di esseri viventi, e sensibili. Il suolo non è un substrato inerte, ma un organismo, anzi un organo, parte di quel corpo più grande che è la Terra.
Le radici delle piante sono come le terminazioni di un sistema nervoso. Comunicano attraverso impulsi elettrici, segnai chimici e meccanici. Perché le radici si muovono, lentissimamente, esplorando il terreno.
Il suolo del bosco è percorso da miliardi di chilometri di queste reti sottili, costituite dall’intreccio di radici e ife di funghi che si scambiano informazioni di vario genere, tanto che si parla adesso di Wood Wide Web, una sorta di internet che il bosco ha inventato da sempre.
Un Forest Garden può essere progettato in qualunque spazio, dai più piccoli ai più grandi. Essendo fondamentalmente un giardino ad alta densità, dopo qualche anno la sua produttività sarà elevata, anche in spazi piccoli. Ovviamente, se lo spazio che ho a disposizione è limitato, non pianterò gli alberi più alti, quelli del primo livello (vedere sotto), ma partirò magari dal secondo livello, con alberi da frutto e arbusti dalle dimensioni più contenute.
Il progetto di un forest garden, come quello di qualunque giardino, si sviluppa su più livelli, a seconda dell’altezza delle piante. Avrò un primo livello, che sarà quello delle piante più alte e robuste (quercia, castagno, noce, olmo, faggio, tiglio, ecc.). Questi alberi saranno i più lenti a crescere ma sono anche quelli che renderanno il bosco davvero tale, procurando ombra, struttura, nutrimento e riparo alle altre piante e animali.
Nel secondo livello ci sono gli alberi da frutto o, in generale, le essenze più piccole (sorbo, ciliegio, albicocco, kaki, ecc). Nel disporre le piante occorre tenere in conto che queste cresceranno e occuperanno più spazio e più luce.
Il terzo livello è quello degli arbusti, quelli più grandi (nocciolo, sambuco, biancospino, rosa canina e piccoli frutti in generale) e quelli più piccoli (aromatiche e bacche), che vanno disposti tenendo conto delle specifiche esigenze di luce e delle forme che assumeranno oli tempo, per favorirne l’attecchimento e la crescita. Poi ci sono le erbacee perenni, quelle erbe cioè che non lignificano, non producono parti legnose, ma che tuttavia hanno una vita di più anni, a differenza della maggioranza delle erbacee, che solitamente sono annuali o biennali, che costituiscono l’ultimo livello del Forest Garden e fra le quali troviamo insalate, fiori e ortaggi tra i più comuni.
Nel Forest Garden possiamo inoltre coltivare i funghi, utilizzando anche un livello sotterraneo.
Il progetto di un forest garden è un progetto pluriennale. Bisogna tenere conto che il bosco assumerà il suo aspetto “adulto” solo nel giro di una decina di anni. Prima sarà come un bambino, che vedremo crescere e che necessiterà delle nostre cure.
Un bellissimo libro su questo tema, dove si trovano tra l’altro moltissimi consigli sulle varietà di piante che si possono utilizzare, è “Creating a Forest Garden” di Martin Crawford. Un altro libro splendido, a proposito del giardino vivente e dell’orticoltura consapevole, è “The Garden Awakening” di Mary Reynolds.
 
Ci insegnano che, prima dell’agricoltura, c’era la raccolta. Gli uomini andavano a caccia e le donne nelle foreste raccoglievano frutti, foglie, radici e semi. Poi un giorno, circa ottomila anni fa, hanno inventato l’agricoltura. La prima rivoluzione agricola. Campi, aratro, insediamenti stanziali, progresso.
In realtà non fu proprio così. Non si passò da un giorno all’altro dalla raccolta all’agricoltura. Infatti, come ancora fanno oggi le donne di alcune tribù della foresta amazzonica, il raccoglitore diventa quasi automaticamente, col tempo (e la raccolta fu praticata per migliaia di anni) un orticoltore. La fase dell’orticoltura è l’anello mancante tra la raccolta e l’agricoltura. Quella fase cioè in cui l’uomo, letteralmente, “coltiva un giardino”, biodiverso dunque, con più tipologie di piante, più sostenibile e più integrato con l’ambiente. Si iniziò semplicemente favorendo la crescita delle piante spontanee che si rivelavano più utili o più buone, estirpando le piante concorrenti, dando da bere in caso di bisogno, magari salvandone i semi e facendoli cadere in un altro luogo promettente.
Il passaggio brutale all’agricoltura propriamente detta, quindi alla “coltivazione di un campo”, misurabile e geometrico, arrivò con il cambio di società, da matrifocale a patriarcale, che si ebbe alla fine del Neolitico, e che comportò un nuovo rapporto con Madre Terra, vista ora come qualcosa di stupido e pericoloso, da dominare, bruciare, arare, spogliare, controllare anziché come un grande animale divino.
Il Forest Garden si inserisce tra le pratiche del movimento della decrescita perché, come lungo una spirale (e quindi nel modo in cui si muove l’energia, con un continuo ritorno su se stessa ma in una prospettiva a ogni giro più ampia), ci riporta alle origini del rapporto tra uomo e piante, e ci porta a perdere la concezione antropocentrica che informa il nostro rapporto con il mondo animale e vegetale. Ci mostra che siamo solo la parte di un tutto più grande, costituito da organi che sentono e comunicano e sono collegati in infiniti modi. Ci insegna anche che in natura esiste già tutto e noi dobbiamo soltanto imparare a scoprirlo. Inventare del resto deriva dal latino invenire, che significa “trovare”.
Un’invenzione come internet non è sbucata dal nulla, ma è stata semplicemente la scoperta, da parte dell’uomo, di una struttura matematica già presente e attiva nel mondo naturale, da miliardi di anni, dall’inizio dei tempi. Il modello a rete diffusa è applicabile anche in campo quantistico, dove gli stimoli elettrici come una sorta di alfabeto Morse scorrono continuamente tra la particelle subatomiche, al confine tra materia e concetto, nei più profondi livelli dell’energia, portando informazioni, tessendo la rete della realtà.
 
L’uomo è un custode di Gaia, la biosfera, quello strato vivente senza il quale l’uomo stesso, fra i primi, è destinato a scomparire. E il suo ruolo, nel Forest Garden, è proprio quello di custode.
Forse mi viene in mente Alice nel Paese delle Meraviglie anche perché uno dei concetti alla base di quel libro è che niente, fondamentalmente, niente è impossibile. Molto spesso le cose ci sembrano tali solo perché non abbiamo mai provato a crederle possibili. Invece basta pensarlo. Basta semplicemente pensare: “E se invece fosse possibile?”
 

Giorgia Rossi





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