La riscoperta della tradizione contro gli eccessi della produzione industriale moderna. Per una sana e nutriente panificazione il metodo insuperato resta il più antico: quello della macinazione a pietra. Contro le farine bianche e molto raffinate derivate dai metodi industriali che badano alla velocità e alla quantità di produzione – oggi all’origine di molti problemi di allergie e intolleranze alimentari – il vecchio ma sempre valido mulino a pietra garantisce un prodotto finale più ricco di sostanze nutritive e con le massime qualità organolettiche, grazie alla lentezza di lavorazione che evita il surriscaldamento. Pazienza se le farine risultano più scure, irregolari e grossolane: alla fine quel che conta è che ciò che mangiamo sia benefico, gustoso, ricco di proprietà nutrizionali e facilmente digeribile.
A partire dal secondo dopoguerra il boom della produzione industriale dei cibi ha relegato ai margini i plurimillenari mulini a pietra, oggi tornati in voga grazie alla maggiore sensibilità dei consumatori verso l’importante aspetto della sicurezza alimentare. Si trattò di una svolta epocale dal punto di vista sociale, economico e culturale, che rispondeva all’esigenza di produrre maggiori quantità di cibo a basso costo in favore di una popolazione in costante crescita, resa possibile dal progresso tecnologico e dal miglioramento delle tecniche di coltivazione del grano. Si voleva chiudere una volta per tutte con quel pane nero derivato dalla farina integrale, simbolo di povertà, per lasciare il posto a farine bianchissime, soffici, leggere e versatili, di facile lavorazione e dal sapore più delicato.
Il processo produttivo più veloce, efficiente ed economico non è però coinciso con un prodotto più sano e nutriente, a dispetto del falso stereotipo sull’importanza della forza della farina (o fattore W), che vuol far credere che il pane bianco sia un prodotto maggiormente pulito, sano e digeribile rispetto a quello nero. Nulla di più sbagliato, perché queste farine sono il frutto di un’agricoltura sempre più intensiva, meccanizzata e legata ai concimi chimici e ai fitofarmaci, che impone una macinazione spinta per eliminare le parti esterne del chicco, a forte rischio pesticidi, e privilegia un prodotto finale ad alte quantità di amido e glutine, depauperato degli elementi nutritivi più preziosi. In sintesi, queste farine provengono in massima parte da varietà non italiane, che sono state trattate con grandi quantità di fertilizzanti chimici e pesticidi, al fine di produrre spighe con percentuali altissime di amido e glutine.
Per capire bene la differenza tra la macinazione a pietra e quella industriale occorre fare una premessa sulla conformazione del chicco di grano. Quest’ultimo è composto da tre parti principali: la più esterna posta a sua protezione è la crusca (14% del peso del chicco), molto ricca di fibre, vitamine, sali minerali e proteine, divisa in tre strati (pericarpo, tegumento e strato aleuronico) e costituita prevalentemente da cellulosa; al centro troviamo l’endosperma o albume (83% del chicco), che fornisce il nutrimento al germe e contiene principalmente carboidrati complessi (amidi) e solo in minima parte sali minerali, vitamine e proteine, mentre l’embrione della nuova pianta è il germe interno (3% del chicco), ad alto contenuto di grassi polinsaturi, minerali, oli, vitamine del gruppo B ed E, composti fenolici e antiossidanti.
A fronte del tradizionale mulino a pietra, che macina l’intero chicco a bassa velocità di lavorazione evitando il surriscaldamento e preservando le sostanze nutritive contenute nella crusca e nel germe, la macinatura a cilindri dell’industria moderna lavora maggiori quantità di grano ma prevede alte velocità (300-350 giri al minuto contro gli 80-100 del mulino a pietra) e sfoglia il chicco a partire dallo strato più esterno, dando vita a farine molto raffinate che mantengono solo la frazione amidacea dell’endosperma, senza i preziosi elementi della crusca e del germe. Tradizione, lentezza e salute sono i termini che meglio descrivono il procedimento a pietra, l’unico in grado di amalgamare il germe di grano e gli oli essenziali con la parte amidacea, che grazie alla bassa velocità della ruota mobile evita processi di ossidazione e mantiene inalterate le qualità organolettiche. Il tutto per una farina dalla colorazione bianco avorio con punteggiature beige scuro, nota per i suoi profumi complessi, il gusto più intenso e le notevoli proprietà benefiche.
Per quanto riguarda il suo funzionamento, il mulino a pietra è costituito da un cilindro di acciaio che avvolge le due macine di pietra, rivestito esternamente in legno. Il frumento entra nel mulino mediante la tramoggia, uno strumento a forma di imbuto che contiene il seme da macinare ed è posto sopra il cilindro. Alla macinazione sono deputate le due mole in pietra sovrapposte, la superiore mobile e l’inferiore fissa, la cui distanza, da cui dipende la finezza della farina, è regolabile con precisione facendo ruotare la tramoggia superiore. Dalla frantumazione del cereale si ottiene lo sfarinato, destinato a passare nel setaccio (buratto) per la separazione della crusca e del cruschello.
Le migliori macine sono quelle sode e taglienti con pori fini e regolari, che non surriscaldano i chicchi, puliscono meglio la crusca e danno origine a farine più corpose e prive di scarti. I mulini macina cereali elettrici presenti in commercio utilizzano una pietra composta da una miscela di corindone e ceramica. Il primo, che è la pietra naturale più dura dopo il diamante, viene mescolato al caolino – una roccia sedimentaria costituita prevalentemente da caolinite e materia prima per la fabbricazione di prodotti ceramici – per dar luogo a un composto pressato e cotto ad alta temperatura, al fine di ottenere una pietra particolarmente dura e resistente nel tempo, del tutto naturale perché priva di additivi chimici. I mulini macina cerali manuali impiegano invece una macina composta da corindone e magnesite, più facile da produrre.
Discorso diverso per l’industria moderna, dove la macinazione dei cereali avviene mediante rulli che allargano lo strato periferico e la gemma del chicco, depauperando la farina a causa dell’alta velocità di lavorazione che provoca l’ossidazione di molti elementi e la perdita di principi nutritivi. Tutto questo prima della setacciatura a mezzo fibre di seta, un’operazione che consente il passaggio delle sole parti interne attraverso i minuscoli fori del tessuto, impoverendo ulteriormente il prodotto finale. Una farina bianchissima, elastica e facilmente lavorabile, talmente raffinata da aver perso i più importanti elementi nutritivi quali proteine, vitamine e minerali, presenti invece in notevoli quantità nella più sana e nutriente farina integrale. È la rivincita del pane nero, che ci invita a non farsi mai ingannare dall’aspetto: il più brutto all’apparenza, in questo caso, risulta più sano e benefico.
Riconoscibile perché più scura e grossolana, la farina integrale non viene setacciata, subisce solo il primo processo di macinazione e contiene la crusca e il germe con i loro preziosi elementi. Dalla macinazione a pietra non si otterrà mai una farina di tipo 00 molto raffinata e ad alto contenuto di amido, come con i metodi industriali, ma solo di tipo 0, 1 o 2, quindi più ricca di fibre, proteine, vitamine (B1, B2, PP, B6), calcio, magnesio e altri utilissimi minerali. La differenza c’è e si fa sentire, perché la raffinazione sempre più spinta ha reso il grano uno dei principali alimenti causa di allergie e meteorismo nonché fattore di rischio obesità, diabete e malattie metaboliche, mentre la celiachia e le intolleranze alimentari si sono ormai diffuse enormemente, tanto da colpire una persona su 100 con conseguenze negative per la salute. Ben diverso il discorso per le farine integrali, che favoriscono il transito intestinale grazie all’apporto di fibre, hanno un basso indice glicemico e consentono l’assunzione di sostanze indispensabili al benessere dell’organismo, quali vitamine, proteine e minerali, svolgendo un’azione preventiva nei confronti di varie malattie. Il tutto per un’alimentazione più sana ed equilibrata, che mantiene la forza della tradizione e il sapore autentico di una volta.
Meno fine e impalpabile ma più scura e viva: la farina integrale, sinonimo di salute e frutto di una coltivazione biologica, permette l’ulteriore vantaggio di lavorare varietà antiche, autoctone e più rustiche di grano (Senatore Cappelli, Verna, Gentil Rosso, Frassineto ecc.), che si adattano alle più varie condizioni pedoclimatiche e a sistemi di coltivazione a basso impatto ambientale, garantendo una maggiore resistenza ad avversità e malattie. In fondo, come recita un vecchio proverbio: « È meglio il pane nero che dura, del bianco che finisce».
Marco Grilli