Niente più gabbie, fruste, catene e domatori. In Italia il circo con gli animali potrebbe avere i giorni contati: è in esame al Senato il disegno di legge 2287 bis, che qualora fosse approvato porrebbe fine a questa usanza, considerata innaturale e crudele da animalisti e non solo.
La norma presentata dal ministro della Cultura Franceschini, che ha già suscitato aspre polemiche tra favorevoli e contrari, prevede la graduale eliminazione dell’utilizzo degli animali nelle attività circensi. Se in Italia l’ultima regolamentazione del settore risale quasi a 50 anni fa (legge n. 337 del 18 marzo 1968), in molti Stati in Europa e nel mondo sono già in vigore divieti totali o parziali circa l’impiego di animali in tali spettacoli. Nella maggioranza dei Paesi del Vecchio Continente il ricorso agli animali per gli spettacoli circensi è concesso solo parzialmente (ad esempio Slovenia, Croazia, Serbia, Olanda, Belgio e Norvegia impongono la restrizione solo per le specie selvatiche, Estonia Finlandia e Polonia per gli esemplari catturati in natura), mentre Grecia, Cipro, Malta e Bosnia Erzegovina proibiscono l’impiego di ogni specie, così come Bolivia e Honduras nel resto del mondo. In Europa e non solo molti Stati concedono la possibilità di vietare le attività circensi con animali a livello locale, ma stando ai recenti dati forniti dal Censis è assente una legislazione nazionale (e di conseguenza ogni restrizione) in Italia, Germania, Lituania, Lussemburgo, Romania e Slovacchia.
Ennesimo ritardo del Belpaese, considerato anche il fatto che l’aggiornamento della normativa italiana ed europea sulla protezione degli animali e del loro benessere ha tenuto in disparte il settore circense. L’ormai datata legge n. 337/68 che regolamenta e sovvenziona i circhi in Italia non menziona i concetti di tutela e benessere degli animali, oltre a non stabilire alcun parametro per la loro detenzione. A livello internazionale, è del 1973 la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES), ratificata in Italia nel 1975. Le leggi che hanno reso esecutivo questo trattato regolamentano l’importazione e la detenzione di specie a rischio, consentendo ai circhi di detenere animali pericolosi solo se dichiarati idonei dalla Commissione scientifica CITES. La stessa Convenzione pone le basi della normativa CITES che nel corso degli anni ha prodotto numerosi aggiornamenti, tra cui le “Linee guida per il mantenimento degli animali nei circhi e nelle mostre itineranti” del 2006, che ogni Stato firmatario è chiamato ad attuare mediante una legislazione specifica. Oggi in Italia tali orientamenti non sono stati ancora ratificati e mancano purtroppo di un impianto sanzionatorio in caso di violazione, anche se costituiscono una buona base normativa per provare eventuali responsabilità penali nei casi di processo per maltrattamento o detenzione incompatibile con i bisogni etologici degli animali. Nelle Linee guida la Commissione scientifica Cites indica inoltre moltissime specie «il cui modello gestionale non è compatibile con la detenzione in una struttura mobile», raccomandandone la dismissione dai circhi. Eppure fino al disegno di legge attualmente in esame al Senato non è cambiato nulla. Pure la legge 20 luglio 2004 n. 189 (“Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”), conferma il fatto che finora la tutela degli animali impiegati negli spettacoli circensi non è stata una priorità italiana: all’articolo 19-ter stabilisce infatti l’inapplicabilità per alcune attività, tra cui proprio i circhi.
Come ben emerge dal dossier Censis-Lav “I circhi in Italia: ricerca per l’accompagnamento di una riforma”, gli spettacoli tradizionali con la presenza degli animali sotto il tendone registrano una crisi che pare irreversibile. Dal 2010 al 2015 è calato sia il numero di eventi (da 17.100 a 15.242, – 11%), che di spettatori (da 1.155.182 a 1.096.695, – 5%), mentre il 71,4% degli italiani si proclama contrario al circo con animali (Rapporto Eurispes 2016). Dati emblematici, che dimostrano il ridimensionamento dell’attività circense e il suo sempre minor peso specifico all’interno del settore teatrale italiano. Nel nostro Paese i circhi ricevono finanziamenti pubblici dal Fondo unico per lo spettacolo, contributi che sono scesi del 9,3% dal 2010 al 2015, passando da 3.318.000 a 3.010.000 euro l’anno, con un drastico calo di domande accolte. Nello stesso quinquennio oltre il 60% di contributi sono stati assegnati solamente a 22 soggetti, corroborando l’immagine del circo italiano come «ambiente immobile e poco aperto», si legge nel dossier. Appare invece nettamente più in salute il settore del circo contemporaneo senza animali, che vede aumentare sia i contributi ricevuti che il numero degli assegnatari, a testimonianza di una maggiore modernità e flessibilità. Tali pregevoli spettacoli presentano minori costi e possono muoversi con maggior velocità e libertà su tutto il territorio, adattandosi a differenti location e ambienti dato il mancato ingombro degli animali. La riconversione del circo tradizionale pare dunque essere l’unica ancora di salvezza per questo settore, oltre tutto cruelty-free.
Ancora oggi pare difficile quantificare il movimento circense, mancando sia un registro nazionale delle unità effettivamente operanti, sia un’anagrafe nazionale degli animali impiegati negli spettacoli. Secondo una stima dell’Associazione Circusfans del 2016 le strutture attive sono 86, mentre per il secondo aspetto vi è solo una stima della Lega Antivivisezione (Lav) del 2010, che ha individuato circa 2.000 animali detenuti. Il controllo su queste attività risulta comunque complicato, poiché i circhi cambiano spesso nome o insegne, si raggruppano tra loro e possono affittare animali e spettacoli con animali da altri circhi.
Chi da tempo combatte la battaglia per lo stop ai finanziamenti pubblici agli spettacoli circensi con animali è la Lav, contraria a questa attività per ragioni etologiche, di pubblica sicurezza ed economico sociali. Prima di tutto, l’impiego degli animali sotto i tendoni prevede l’addestramento, che comporta abusi, privazioni e violenza e si basa sulla forzatura di comportamenti e posture innaturali, oltre che sulla privazione del loro habitat e dei loro bisogni primari. La maggioranza degli studi scientifici dimostra che la presenza di umani e visitatori rappresenta una fonte di stress sia per le specie selvatiche che per quelle domestiche, mentre i lunghi e continui spostamenti, spesso in condizioni proibitive, provocano spesso danni fisici, stereotipie, difficoltà di acclimatamento e non solo alterano le abitudini di alimentazione, il sonno e i cicli circadiani, ma sono anche una fonte di propagazione di malattie perfino virali (zoonosi). Semplicemente per il divertimento umano, gli animali sono costretti a vivere in spazi esigui rispetto a quelli disponibili in natura e a eseguire movimenti innaturali che possono causare deformità zoppie e lesioni, mentre l’aggregazione di diverse specie e il contatto con gli umani aumenta il rischio di diffusione di malattie e infezioni. Senza dimenticare che la cattiva gestione delle dinamiche di gruppo, come l’isolamento di alcuni esemplari o la sistemazione di specie antagonistiche (preda-predatore) in zone limitrofe, è fonte di forte ansia e stress e influenza l’indice di aggressività, i comportamenti contrari alterati e la mortalità precoce.
Gli spettacoli circensi con animali comportano problemi anche per quanto riguarda la pubblica sicurezza, basti pensare che solo a livello europeo dal 1995 a oggi si sono verificati ben 308 incidenti con il coinvolgimento di 95 persone e circa 660 animali. In Italia la Lav ne ha contati 30, che nel 36% dei casi hanno avuto conseguenze, nel 33% feriti e nel 3% decessi. Solo per citare uno degli ultimi episodi, il 28 gennaio 2017 una tigre è fuggita dal circo “Svezia” a Monreale, seminando il panico tra gli automobilisti e gli abitanti della zona, prima della cattura da parte di due domatori. In generale, come si ricava dallo studio del prof. Stephen Harris “The welfare of wild animals in travelling circus”, mettere gli animali a contatto con il pubblico causa dei problemi di benessere gravi, poiché i visitatori non riescono a comprendere la natura dei segnali provenienti dalle varie specie ospitate sotto il tendone, con conseguente potenziale elevata pericolosità di questi contatti. Non da ultimo gli animalisti insistono anche sulle ragioni economico-sociali. Come già analizzato l’attività circense è in costante perdita più per problemi strutturali che per esiguità dei fondi statali, mentre i costi ulteriori per il mantenimento degli animali, l’addestramento del personale e i controlli sanitari continuano ad aggravare il bilancio passivo del circo italiano.
Intanto, pur tra le difficoltà legate alle indagini e alla mancanza di risorse, aumentano ogni anno le condanne ai circhi per i reati di maltrattamento e detenzione di animali incompatibile con le loro caratteristiche etologiche. Un esempio è il Circo città di Roma, denunciato nel 2004 perché teneva le tigri al freddo e in spazi angusti, gli elefanti in condizione di quasi immobilità e il resto degli animali in strutture non idonee dal punto di vista igienico e sanitario, condannato in via definitiva solo nel 2010 dopo aver continuato a ricevere finanziamenti pubblici. Nonostante tali evidenze, l’Ente nazionale circhi (Enc) ha ribadito la propria contrarietà al disegno di legge in una lettera rivolta al presidente del Senato Grasso. «L’esibizione e l’addestramento degli animali fanno parte integrante del Circo classico di tradizione – ha scritto il presidente dell’Enc Antonio Buccioni – mentre si pretende giustamente che tali attività vengano svolte secondo parametri che assicurino il rispetto degli animali, allo stesso modo riteniamo che i circhi debbano continuare a ospitare quel patrimonio di esperienza e sapienza rappresentato dalle specie animali che danno vita allo spettacolo del circo, nel convinto e massimo rispetto delle rigorose norme nazionali ed europee che ne disciplinano il possesso, il trasporto, la stabulazione e l’addestramento».
Di diverso parere è la Federazione nazionale ordine veterinari italiani (Fnovi), che in riferimento a una posizione sottoscritta in sede di Federazione dei veterinari europei (Fve) nel 2015, ha precisato che «nei circhi non esiste la possibilità che il benessere degli animali e il rispetto delle loro esigenze etologiche siano garantiti, nonostante le attività svolte dai medici veterinari in materia di prevenzione e di terapia delle malattie degli animali. I metodi utilizzati per ottenere comportamenti innaturali e spesso opposti alle caratteristiche della specie, la convivenza forzata di specie diverse come preda e predatore (esempio leoni in groppa a cavalli), i fattori stressogeni come le luci, rumori, dimensioni ridotte delle gabbie sono solo alcuni degli aspetti caratterizzanti gli spettacoli circensi con animali che non rispettano gli animali né lasciano spazio di miglioramento».
Una posizione in linea con la “Dichiarazione sul benessere e i bisogni etologici degli animali selvatici ed esotici nei circhi” (2015), firmata da una ventina di docenti di tutto il mondo specializzati in etologia, ecologia e studi similari, fatta propria da Eurogroup for Animals. Nel documento si legge che: «Gli animali selvatici utilizzati nei circhi sono domati, non addomesticati, e i dati tratti dalla letteratura scientifica dimostrano che i circhi sono un ambiente inadatto per gli animali selvatici. In generale, i circhi non riescono a soddisfare nemmeno le esigenze sociali, territoriali e sanitarie più elementari degli animali selvatici. Essi hanno una possibilità notevolmente ridotta di assumere comportamenti naturali, mentre sono obbligati a svolgere un comportamento innaturale. Come diretta conseguenza, benessere, salute e riproduzione degli animali sono notevolmente ridotti». Particolarmente significativo è anche il “Documento di psicologi sulle valenze antipedagogiche dell’uso degli animali nei circhi, nelle sagre e negli zoo”, che sottolinea come tali contesti «lungi dal permettere ed incentivare la conoscenza per la realtà animale, sono veicolo di una educazione al non rispetto per gli esseri viventi, inducono al disconoscimento dei messaggi di sofferenza, ostacolano lo sviluppo dell’empatia, che è fondamentale momento di formazione e di crescita, in quanto sollecitano una risposta incongrua, divertita e allegra, alla pena, al disagio, all’ingiustizia».
Se la battaglia degli animalisti sarà coronata dalla vittoria con l’approvazione da parte del Senato del disegno di legge 2287 bis, si presenterà il problema di ricollocare gli animali e riconvertire le strutture tradizionali. Un aspetto sicuramente complicato che non deve però rappresentare un freno alla riforma, poiché lo stesso Rapporto Censis ha individuato delle soluzioni possibili. Oltre ai potenziali risparmi per lo Stato derivanti dalla cessazione delle visite ispettive e controlli di carattere sanitario e veterinario sugli animali posseduti dai circhi, si potrebbe accedere ai contributi previsti sia dal decreto ministeriale 2014 art. 43, al fine di favorire la riqualificazione del personale circense, che dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr), dedicati alla salvaguardia della biodiversità, per fornire strutture adatte a ospitare gli animali liberati. Inoltre, sempre per incentivare gli interventi di adeguamento professionale del personale circense, i proprietari delle imprese potrebbero accedere al Fondo sociale europeo o aderire a uno dei Fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua, senza dimenticare l’offerta formativa rappresentata da una significativa rete di scuole e accademie già presenti sul territorio nazionale.
I tempi paiono maturi: animali liberi e tutti al Cirque du Soleil.
Marco Grilli