Da dove ci arriva lo stereotipo della zitella racchia, con gli occhialini, il cappellaccio, lo sguardo triste, sola e compianta?
In parte, anche da questa leggendaria foto di una nobildonna inglese vegetariana che ha fatto la storia.
Si chiamava Lady Constance Bulwer-Lytton (e in realtà era molto bella).
I cognomi Lytton e Bulwer a noi non dicono nulla, ma in Inghilterra nel 1869, anno di nascita di Constance, tutti avrebbero capito di chi era figlia.
Suo papà era Vice-re d’India, la madre una Contessa, il fratello lavorava in Parlamento, la sua bisnonna era stata una delle prime femministe e il nonno era un romanziere famoso, lo scrittore Edward Bulwer-Lytton, che ha coniato la frase: “La penna è più potente della spada”.
Constance era la classica nobildonna trattata fin da bambina come una bambola di porcellana , anche perchè soffriva gravemente di cuore e vari problemi di salute. Fu proprio per cercare di migliorare le sue fragili condizioni fisiche che a 30 anni diventò vegetariana, anzi, pare addirittura vegana, o “strict vegetarian”, come si diceva al tempo.
Era stata una sua zia a consigliarglielo.
Ecco cosa scrisse lei stessa a riguardo:
“La mia salute ne guadagnò in tutte le direzioni e gradualmente mi liberai dai reumatismi cosiddetti “costituzionali” dei quali avevo sofferto fin dall’infanzia… La mia vitalità migliorò.”
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E cosa fece con questo rinnovato vigore?
Tutte le ricche nobildonne avevano qualche innocuo passatempo. Lei aveva deciso di portare sollievo alle donne in prigione, la cui disperazione toccava molto il suo cuore.
Per diverso tempo il suo fu un semplice “hobby”.
Si trattava solo di scrivere lettere, intercedere, portare del cibo alle detenute. Ai nobili non piaceva rovinare la reputazione del loro buon nome attivandosi in cause poco gradite al Governo.
Constance però non aveva eredi, non era sposata (la famiglia non le aveva dato il permesso di sposare l’uomo povero che amava) e capiva probabilmente di non avere molto da vivere, visti i suoi problemi cardiaci.
Cosa aveva da perdere quindi a fare qualcosa di grande?
Nel giro di pochi anni, dopo aver scoperto cosa subivano in prigione le attiviste suffragette, le donne che lottavano per ottenere il diritto di voto e molti altri diritti per le donne, questo suo “hobby” prese tutta un’altra piega.
Divenne “attivismo”.
Questo è ciò che scrisse alla madre in una lettera, la notte prima di essere arrestata la prima volta…
Aveva 40 anni.
“Mio angelo di madre,
…
La maternità che da qualche parte serpeggia in me è stata gradualmente risvegliata in questi anni dal destino delle prigioniere, il male crudele e deliberato che viene fatto loro all’anima e al corpo, lo spreco ignorante ed esasperato di buone opportunità, finchè adesso il pensiero di loro, la voglia di stare con loro, si muove in me e mi attira verso sè in modo altrettanto vitale e irreprimibile come mai un bambino può chiamare sua madre”.
Quelli erano gli anni dell’attivismo femminista detto militante.
“Fatti, non parole!” era il motto dell’Associazione di cui faceva parte Constance, la W.S.P.U.
Queste suffragette non fecero mai male a nessuno, ma diciamo pure che cominciarono a rompere più delle sole scatole.
All’inizio, Constance non era d’accordo con l’uso della forza, ma col tempo si era dovuta ricredere.
Come scrisse un giorno alla cara zia: “Capisco le tattiche di queste donne sempre di più – non solo quello che fanno, ma quello che è stato fatto a loro per portarle a dover usare queste tattiche. Le donne hanno provato ripetutamente, e sempre in vano, ogni mezzo pacifico aperto a loro per influenzare il Governo. Processioni e petizioni sono state assolutamente inutili”.
Anche lei fu arrestata e finì in prigione. Aveva semplicemente partecipato a una dimostrazione davanti alla casa del Primo Ministro.
“Niente della gentilezza con cui era stata allevata”, scriverà la sua biografa, “l’aveva preparata ad affrontare un assalto ostile da un’ orda di poliziotti. Venne spinta, tirata e cadde a terra più volte…”
Le sarebbe stato facile uscire utilizzando il suo cognome, ma Lady Lytton non ha mai approfittato dei privilegi della sua casta. Al contrario. Il suo obiettivo era proprio essere trattata come le altre, per poter poi mostrare al mondo quello che succedeva in prigione.
Appena però i poliziotti si resero conto di chi fosse figlia, la visitarono accuratamente nonostante il suo rifiuto e la rilasciarono prima del tempo, trattandola sempre coi guanti.
Le autorità non volevano che le suffragette si potessero pregiare di una martire di grande fama.
Constance però ci riprovò di nuovo, e di nuovo ancora, ma dopo aver capito che il suo cognome e il suo aspetto erano un ostacolo al suo piano, si fece venire un’idea per non essere riconosciuta.
La volta successiva decise di dare un nome falso agli ufficiali che l’arrestarono:
“Nome e cognome?” “Jane Warton”
“Professione?” “Sarta”
Non cambiò solo il nome però, ma il suo intero look. Negli anni aveva notato che le donne più brutte erano sempre quelle che subivano i trattamenti peggiori… Qualche giorno prima di finire in carcere si era tagliata i suoi bellissimi capelli biondi, aveva provato a farsi fare una tinta scura, si era comprata dei vestiti da donna povera, degli occhialetti orribili, un cappellaccio orrendo e in generale si era agghindata come lo stereotipo della zitella!
Senza più la protezione del suo cognome e brutta come la fame, questa volta fu condannata ai lavori forzati per 14 giorni.
Nessun medico la visitò, a differenza delle altre volte, nessuno si accorse che aveva seri problemi di cuore.
Constance rifiutò subito il cibo, come da programma. Sciopero della fame, come tutte le sue compagne suffragette.
Era il loro modo di protestare, l’unico che avevano a disposizione in prigione.
Al quarto giorno di digiuno, emaciata, esausta e già in pessime condizioni di salute, entrò un dottore in cella con altre inservienti per costringerla a mangiare.
Non è il caso di riportare per intero la descrizione di quella che al tempo era una vera e propria tortura.
Se sapete cosa fanno alle oche per ottenere il fois-gras, potrete intuire cosa fu fatto anche a Constance.
“L’orrore è stato più di quanto possa descrivere…” scriverà anni dopo, raccontando nei dettagli l’intera esperienza in un libro.
Subirà questa tortura otto volte in totale, finchè interverrà la sorella per salvarla, facendo saltare la sua copertura.
Uscita di prigione, debolissima, raccontò tutto quanto ai giornali. Missione compiuta.
La reazione di sdegno verso il Governo non si fece attendere.
La gente non sapeva bene cosa succedesse alle suffragette arrestate e cominciò presto a farsene un’idea e mettersi dalla loro parte.
Constance cominciò ad andare a parlare di quello che le era successo fecendo un tour in tutta l’Inghilterra.
Ora, non sappiamo quanto fu per merito suo e quanto per merito di altri, ma sta di fatto che da lì a poco la pratica ignobile dell’ingozzatura forzata delle prigioniere fu cancellata dalla storia e le suffragette vennero trattate come prigioniere politiche. Qualche anno dopo, Constance finì nuovamente in prigione, ma scrisse che il posto ormai era irriconoscibile: “La cortesia era ovunque”.
Purtroppo il suo corpo non resse all’orrore di tutto quello che aveva passato. Pochi anni dopo le venne un ictus e rimase in parte paralizzata. Visse il resto della sua breve vita con la madre, che la aiutò a scrivere le sue memorie, dal titolo: “Prigioni e Prigionieri” (Prisons and Prisoners) nel 1914.
Sulla copertina, dopo il suo nome scritto con la macchina da scrivere, si vede una sua aggiunta in penna: “& Jane Warton, Zitella”.
Morì nel 1923, dopo aver visto non solo migliorare le condizioni di vita delle prigioniere, come era il suo sogno, ma vedendo le donne ricevere il voto, anche grazie all’intervento del fratello e di molti altri politici, toccati dalla sua storia, dal suo coraggio, dalla sua integrità morale.
E ritornando alla sua dieta vegetariana.
L’aspetto salutistico non era l’unica motivazione che l’aveva spinta verso questa alimentazione.
Nella sua lettera alla zia aveva aggiunto anche queste righe…
“Mi resi anche conto che in tutti quegli anni avevo causato una sofferenza indicibile solo per poter mangiare, e determinai che in futuro la morte innaturale degli animali non avrebbe dovuto essere più necessaria per me“.
Constance non era l’unica suffragetta vegetariana. Vi ho già parlato di Charlotte Despard, e il mese prossimo ne scopriremo un’altra ancora.
Tutte queste donne avevano capito benissimo il nesso tra la violenza sulle donne e la violenza su animali indifesi.
Un giorno, mentre camminava per strada, aveva visto una povera pecora che era riuscita a scappare da un macello. Era stanca, impaurita ed era stata accerchiata da molti uomini che la deridevano e prendevano in giro nei modi più turpi.
Constance non potè non associare la totale vulnerabilità di questa pecora a quella di molte donne sposate del tempo, totalmente in balia dei loro mariti-padroni e che spesso subivano atti di violenza da cui non si potevano difendere.
Come scrisse lei stessa, le donne erano disprezzate e trattate come inferiori e tenute in condizioni frutto di “errori di una civiltà alla cui formazione esse non sono libere di partecipare”.
Aiutare gli animali voleva dire aiutare anche le donne, e viceversa, perché sarebbe cambiata la sensibilità in generale della società.
E questo pensiero è ancora valido oggi.
Sicuramente Jane/Constance sarebbe felice di vedere tutto quello che è stato fatto in questi anni sia per le donne che per gli animali, anche se ci ricorderebbe che c’è ancora molto da fare e di tirarsi su le maniche e non avere paura.
Vi lascio con il suo bellissimo epitaffio:
“Dotata di un celestiale senso dell’umorismo e infinita compassione, ha dedicato gli ultimi anni della sua vita alla liberazione politica delle donne e sacrificato la sua salute e i suoi talenti per aiutare a portare vittoria a questa causa.”
Grazie Constance.
Tratto dal libro “LE FIGLIE DI EVA” di Aida Vittoria Eltanin