I dodici giorni compresi tra Natale ed Epifania vengono considerati “sacri”, una sorta di frattura temporale, come suggerisce lo studioso di folklore Arnold van Gennep. In questo non tempo i cieli del mondo sono popolati di personaggi particolari, che mettono in comunicazione il mondo terreno con l’aldilà.
Rispetto a Babbo Natale che ha definitivamente abbandonato gli alleati oscuri (vedi i Krampus di San Nicolò, versione cristiana di Babbo), la Befana ha conservato una certa ambiguità che ne sottolinea il legame con il regno dei morti. Ne è simbolo lo stesso sacco che porta appresso, di cui la calza appesa ai camini è una versione in miniatura. A cosa serve? Si dice funga da passaggio tra i due mondi.
Il termine Epifania, da cui deriva Befana a seguito di una storpiatura, deriva dal greco epiphàneia e significa manifestazione della divinità, rivelazione. In ambito cristiano fa riferimento alla prima comparsa di Cristo in pubblico. A questi significati se ne intrecciano altri perché la stessa Epifania è anche la stella che guida i Re Magi, la cui tradizione a sua volta proviene dall’Oriente. Comunque sia, queste tradizioni ribadiscono in modi diversi che la vita trionfa sulla morte. In natura, non a caso, nel giorno del solstizio invernale la luce ha la meglio sul buio e con l’arrivo della Befana, dopo il passaggio atemporale, finalmente si manifesta.
In questo trionfo è implicito il legame tra mondo dei vivi e dei morti, i quali tuttavia non sono negativi adempiendo, in qualità di antenati, alla funzione di protettori. Un tempo, secondo gli studiosi di folklore, il regno dei Morti era sì temuto ma anche ricco di considerazione da parte dei vivi che lo omaggiavano e rispettavano, consapevoli della sua importanza.
Oggi le cose sono cambiate perché la morte viene percepita come mancanza ed è pertanto divenuta in un vero e proprio tabù. Ecco allora che feste come il Natale e l’Epifania si vestono di sorrisi e promesse rigettando l’altra faccia della medaglia che è la Morte e il mondo “Aldilà”. Gli Antenati deceduti suscitano indifferenza, la Morte, passaggio inevitabile, naturalissimo, viene tenuta a bada oscurandola.
La Morte è parte integrante anche delle feste natalizie ma è stata rimossa sopravvivendo solo in alcune remote tradizioni come quella, per esempio, dei Krampus di San Nicolò o nella figura, per citare un caso famoso, del Grinch, fiaba scritta dal Dr. Seuss come critica al consumismo natalizio. Nel “Tenebroso Natale. Il lato oscuro della Grande Festa” di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi si legge a proposito dei rituali antichi legati a questo periodo dell’anno: “se poi quelle «cerimonie più antiche» e il contesto miticorituale che le aveva generate mostrano stretti legami con il culto dei morti e con un immaginario sbilanciato sul numinoso demoniaco, ecco che le «inquietudini di Natale» possono veramente colorarsi di complesse derivazioni, oltre a quelle inerenti a una strettoia psico-sociale o alla percezione morale di una contraddizione tra pagano e cristiano. Ecco, insomma, che le «potenti tracce» lasciate da un arcaico retaggio nel cuore di ricorrenze cristianizzate solo in parte non possono non essere (anche) a tinte scure, e generare un’ulteriore contraddizione: quella tra l’apparente gioiosità e luminosità delle feste di fine-inizio anno, e le ombre che invece, ancora ben conservate nel folklore e persino nell’intima percezione del nostro inconscio personale e collettivo, sembrano velarle di toni inquieti e inquietanti.”
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Epifania: la Befana figura ambivalente
La Befana è l’unica figura delle festività comprese tra il Natale e l’Epifania ad aver conservato l’ambivalenza originaria. E’ buona ma anche pericolosa, come d’altronde lo era in origine Babbo Natale, quando sotto forma di San Nicolò accompagnato da diavoli mascherati (o altre figure inquietanti a seconda delle tradizioni), dispensava regali ai buoni e sculacciate ai birbantelli. E’ misteriosa la Befana, soprannominata Stria per la somiglianza con le streghe, Vecia, Femenate, Rodosega, nomi che ne evidenziano la natura inquietante, sfuggente.
Come premesso, il termine è una storpiatura di Epifania, e si dice che l’associazione con la festa corrispondente sia stata un tentativo di cristianizzazione della figura pagana, cui è stato attribuito il ruolo di dispensatrice, ai bambini, di quei doni che i Magi portarono a Gesù. Molto spesso, al di là delle declinazioni locali, la Befana appare vecchia in quanto personificazione di Madre Natura che come quest’ultima, alla fine dell’anno, risulta imbruttita, pronta a morire facendosi bruciare sui famosi falò per fare posto al nuovo.
I dolci che regala ai bambini prima del rituale propiziatorio sarebbero simboli dei semi della nuova vita/nuovo anno. Si ritiene che in epoca romana fosse chiamata “Strenia”, dea della notte che dispensava doni ai figli dei romani emergendo dall’Aldilà.
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I doni della Befana
I doni della Befana differiscono rispetto a quelli natalizi perché sono più semplici e includono spesso dolciumi e frutta oltre al famigerato carbone. Quest’ultimo simboleggia l’energia latente ma in passato aveva anche una valenza positiva, ritenuto vero e proprio amuleto scaccia-disgrazie. La frutta secca, altro dono tipico, è ritenuta sacra e utile per annullare eventuali malefici. In Veneto e Friuli è molto diffusa, durante i festeggiamenti dell’Epifania, la pinza, focaccia dolce grezza a base di fichi secchi, uva sultanina, strutto, comino, zucca, lievito e farina. Le ricette tuttavia variano a seconda delle usanze locali.
Epifania: le usanze italiane più curiose
Montescaglioso, vicino Matera: qui si festeggia la Notte dei Cucibocca, figure con grossi copricapi e barbe bianche molto folte che girano per le strade con una lanterna trascinando catene ai piedi. Bussano alle porte dei paesani per chiedere qualche offerta di cibo. In questa usanza emerge la connessione dell’Epifania con la morte poiché in diverse zone del Sud Italia si crede che i defunti tornino a far visita ai propri cari nella notte che precede l’Epifania. La Befana è quindi sostituita dai Cucibocca, che a loro volta riempiono le calze dei bimbi di doni.
Carnia: la Befana si festeggia con la cerimonia del pignarul, enorme catasta collocata sulle montagne cui viene dato fuoco insieme ad altre cataste più piccole sparse sulle montagne limitrofe. Sulla cima del monte troneggia invece la Stella. I festeggiamenti prevedono il consumo di castagne e vino nuovo.
Friuli Venezia Giulia: oltre ai tradizionali falò sparsi per tutto il territorio tra il 5 e il 6 gennaio, a Paularo si svolge una festa molto suggestiva che prende il nome di Femenàta. Non il solito falò ma una complessa intelaiatura dalla forma romboidale, enorme feticcio fissato verticalmente che sostiene fieno, stoppie di granoturco, viticci secchi di piante di fagiolo, ramaglie e materiali vegetali di scarto. Verso sera le genti delle borgate si riuniscono a cerchio intorno al Rombo e un incaricato gli dà fuoco con un ramo accesso in un fuoco delle vicinanze. Il saggio del paese, a seconda della direzione del fumo, ne trae buoni o cattivi auspici per l’anno che viene: “Se il fum al va a jevant, l’anàda sarà bondant. Se il fum al va a tramont, ciol il sac e va pal mont” (Se il fumo va verso levante, la nuova annata sarà abbondante, ma se il fumo va a ponente, raccogli il tuo sacco e va in cerca di fortuna.).
Faenza in provincia di Ravenna: il 5 gennaio si festeggia la Nott de’ Bisò, con il “Niballo”, fantoccio che simboleggia le avversità dell’anno appena trascorso cui si dà fuoco per esorcizzarle. Il vino che accompagna i festeggiamenti è il bisò, vin brulè preparato con Sangiovese e spezie.
E’ giunta l’ora della Befana, della vecchia, simbolo di ciò che ormai deve finire. La Befana con la sua scopa pulisce, rinnova ed il suo falò è in realtà un rito di purificazione: si brucia il vecchio per far posto al nuovo. E lo si può fare solo facendo morire ciò che non ci appartiene più: è l’unico modo di rinascere!
E non è un caso se è una figura femminile a portare così tanti doni: è Madre Natura che ci parla attraverso la Befana!
Con questa consapevolezza buon falò a tutti e buona rinascita!