La pace è un’utopia? Forse o forse no. Tuttavia non la si raggiunge stando con le mani in mano né alimentando forme più o meno sottili di razzismo, derisione, intolleranza. La pace richiede coraggio a differenza dell’odio. Perché puntare il dito sugli altri è talmente facile che ci riusciamo tutti, senza alcuno sforzo, viene spontaneo. Ed è forse per questo che la guerra e l’odio imperversano, è facile esserne sedotti. Anche se non ci sentiamo direttamente coinvolti in ciò che succede di brutto nel mondo, dovremmo iniziare a comprendere che le nostre scelte quotidiane sfamano quella bruttezza. Alimentare liti in famiglia per invidia, gelosia, possessività, impedire ai propri figli di frequentare bambini di altre etnie e religioni, seminare parole di paura e diffidenza nei confronti di chi è diverso, tutto questo ha a che fare con la guerra. Sono piccoli focolai di odio di cui le guerre hanno bisogno per sopravvivere. Ma è più comodo accusare i cosiddetti poteri forti sostenendo che tanto nulla può cambiare anziché assumersi le proprie piccole grandi responsabilità quotidiane.
Women Wage Peace: le donne che marciano per la pace
Ma c’è anche chi, in questo caos, decide di farsi avanti per promuovere concretamente la Pace. Ne sono un esempio le donne di Women Wage Peace, organizzazione israelo-palestinese nata nel 2014, durante l’ultimo attacco a Gaza, che sta cercando di proporre un’alternativa pacifica alle ondate di violenza nel Medio Oriente. “La pace non è un’utopia; è ‘il fondamento necessario per la vita dei due popoli in questo luogo, in sicurezza e libertà”, recita lo slogan delle Women Wage Peace.
Le donne che fanno parte del movimento sfilano vestite di bianco e appartengono a religioni diverse, ebree, cristiane, musulmane, motivate dal desiderio di una convivenza pacifica tra le genti, incoraggiate dalle continue violenze perpetrare ai danni di israeliani e palestinesi: “Il nostro movimento lavora in tutto il paese per sensibilizzare e coinvolgere il pubblico in una discussione sulla fattibilità di una soluzione politica. Crea opportunità di dialogo con individui e gruppi attraverso incontri formali e informali all’interno della comunità. Il movimento organizza anche eventi nazionali, come manifestazioni e proteste, per fare pressione e raggiungere un accordo di pace praticabile.”
E’ molto interessante che l’organizzazione non abbia vertici, ci si incontra su Whatsapp, via mail o tramite i social, e che si rivolga alle donne di qualunque partito e religione infrangendo il tabù della diversità quale elemento di discordia. Un toccante video girato nel deserto a nord del Mar Morto, vicino a Qasr el Yahud, le vede protagoniste mentre invocano una preghiera, detta Preghiera delle Madri, che è un inno alla pace tra i popoli, realizzata insieme alla cantautrice Yael Deckelbaum.
From the north to the south (Dal nord al sud)
from the west to the east (dall’ovest all’est)
hear the prayer of the mothers (ascoltate la preghiera delle madri)
bring them peace (portate loro pace)
bring them peace (portate loro pace)
Il movimento continua a crescere tant’è che oggi, da 30 che erano, le Women Wage Peace sono migliaia. Si riuniscono per marciare in nome delle pace in luoghi altamente simbolici: tra le ultime iniziative la Marcia della Speranza e l’Operazione digiuno lanciata in commemorazione dei bombardamenti su Gaza risalenti al 2014. In quell’occasione le donne montarono una tenda di fronte alla casa del Primo Ministro rimanendo a digiuno per 50 giorni, esattamente la durata del conflitto, e a loro si unirono molti altri cittadini, sia persone comuni che intellettuali e membri del Parlamento.
A proposito delle marce di pace, le Women Wage Peace hanno dichiarato: “le marce locali sono state meravigliose, ed è stato importante riuscire a esser attive in tutto il Paese, da Eilat su fino a Metula e Rosh Hanikra. A Gerico eravamo duemila, tra cui molte palestinesi”. Una delle rappresentanti ha affermato che “Fare la pace è una cosa difficile, richiede un prezzo. Richiede di avventurarsi in luoghi che non avete mai immaginato assieme alle vostre sorelle palestinesi. Vi farà perdere amici e sacrificare la famiglia. Se non siete pronte, fate un passo indietro”. Sì perché la pace, come dicevamo, richiede coraggio. Ma considerato che il movimento ogni giorno cresce con nuove adesioni, di donne coraggiose ne esistono molte.
Il conflitto Israeliano-Palestinese in breve
Israeliani e palestinesi sono in conflitto da anni per varie ragioni ma il motivo principale è l’incapacità di trovare un accordo sulla spartizione dei territori. Nel 1898 nacque il primo movimento Sionistico Internazionale il cui scopo era riportare in Palestina gli Ebrei sparsi per il mondo, poiché ritenuta la Terra Promessa. La Palestina di allora era in mano agli Ottomani, poi rimpiazzati dagli Inglesi durante la prima Guerra Mondiale. Mentre il mondo si accingeva a iniziare la Seconda Guerra Mondiale, alcuni ebrei cominciarono ad emigrare verso la Palestina ma nel corso del tempo i flussi migratori aumentarono notevolmente inducendo i Palestinesi a ribellarsi. Intervenne così l’Onu con un primo tentativo di spartizione del territorio in due stati separati, che mise al centro Gerusalemme, sacra sia per i palestinesi che per gli israeliani. Tuttavia la decisione non piacque ai Palestinesi che nel giro di un anno si ribellarono perdendo, mentre Israele invase una parte del territorio palestinese conquistando la metà occidentale di Gerusalemme, cosa che comportò la cacciata di moltissimi palestinesi. Israele occupò militarmente moltissimi territori palestinesi. Dopodiché entrò in conflitto con l’Egitto e ne derivarono la guerra dei Sei Giorni e la guerra del Kippur, vinte entrambe dagli Israeliani. Nel 1988 l’OLP riconosce lo stato di Israele e lo Stato Indipendente di Palestina, ma questo non sta bene ad Israele che si scatena contro i Palestinesi, che a loro volta iniziano a organizzarsi dal punto di vista terroristico. Nel 1993 nonostante l’Onu obblighi Israele a ritirarsi dai territori palestinesi occupati, Israele si rifiuta di farlo. E il conflitto continua.
Laura De Rosa