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Ricordo di Berta Caceres, l'ambientalista indigena uccisa in Honduras

Di Marco Grilli - 11 Marzo 2016

«Giustizia, giustizia, Berta vive e la lotta continua». Con questo grido migliaia di persone hanno dato l’ultimo saluto a Berta Caceres, l’ambientalista indigena honduregna uccisa lo scorso 3 marzo nella sua abitazione a La Esperanza (provincia di Intibucá), nel sud-ovest del Paese.

Incurante dei rischi e delle continue minacce di morte, la coraggiosa eco-attivista non mai rinunciato al suo impegno in favore dell’ambiente e della difesa dei diritti delle popolazioni indigene, finché alcuni uomini, introdottisi di notte nella sua abitazione, hanno posto fine alla sua vita con dei colpi di pistola. Una tragedia annunciata che ha suscitato una vasta indignazione in tutta la comunità internazionale, con i familiari della vittima irritati nei confronti delle istituzioni e fermamente convinti che Berta sia stata uccisa per le sue battaglie ambientaliste, nonostante le prime ipotesi formulate dalla polizia parlino di una rapina. Di sicuro c’è che a nulla sono valse le misure di protezione concordate dalla Commissione interamericana dei diritti umani con le autorità honduregne. Questo crimine orrendo conferma l’Honduras come Paese più pericoloso al mondo per gli eco-attivisti: l’ong inglese Global Witness ha accertato ben 111 omicidi tra il 2002 e il 2014, un numero tra l’altro sottostimato.

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Ma chi era Berta Caceres? 43 anni, quattro figli (trasferiti in Argentina per motivi di sicurezza), appartenente alla comunità Lenca, ossia alla principale etnia autoctona dell’Honduras, Berta era leader e co-fondatrice del Consiglio civico di organizzazioni popolari e indigene (Copinh), un’organizzazione ambientalista istituita nel 1993 che raccoglie 200 comunità Lenca. Portatore di un’alternativa centrata sulla dignità umana, il rispetto dell’ambiente e una visione di giustizia sociale ed economica antipatriarcale, anticapitalista e antirazzista, da oltre 20 anni il Copinh lotta per salvaguardare i diritti delle popolazioni indigene e del loro habitat contro i grandi interessi delle compagnie minerarie. Un movimento che non si è fermato di fronte alle minacce, gli arresti, le torture e le intemperanze degli squadroni della morte, riuscendo a raggiungere straordinari risultati, quali la continua vigilanza sulle violazioni dei diritti umani, la promozione di processi di autonomia, l’arresto di progetti di speculazione e l’istituzione di numerose aree forestali protette, scuole, radio comunitarie, centri medici, antiviolenza e di formazione professionale.

Dopo il colpo di Stato contro il presidente Manuel Zelaya, deposto dai militari il 28 giugno del 2009, Berta e il Copinh hanno lottato contro la corruzione, la deriva autoritaria e le sfrenate politiche neoliberiste del nuovo governo, coincise con oltre 470 concessioni minerarie a multinazionali estere, che hanno comportato la svendita di più del 30% del territorio. L’approvazione di centinaia di progetti idroelettrici e la conseguente privatizzazione di terre, fiumi e altri beni comuni hanno messo a repentaglio la sopravvivenza delle comunità native, private dei loro diritti e duramente represse dalle autorità.

Alla guida del Copinh, Berta si è apertamente schierata contro le privatizzazioni tese a soddisfare le esigenze energetiche del settore estrattivo, denunciando l’inquinamento del territorio, i danni alle aree protette provocati dalle autorizzazioni alle estrazioni petrolifere e agli impianti turistici ed eolici su grande scala, nonché la minaccia per la biodiversità e la sovranità alimentare portata dalle monocolture dell’agro-combustibile. Interessi e capitali considerati connessi al narcotraffico e all’élite governativa, che ha proceduto a militarizzare un Paese sempre più povero e diseguale, reprimendo il dissenso con la forza.

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In virtù del suo ruolo di guida nella vittoriosa mobilitazione contro il progetto della diga Agua Zarca, nel 2015 Berta aveva ricevuto il Goldman Prize, il più importante riconoscimento internazionale per gli eco-attivisti. «Viviamo in un Paese nel quale il 30% del territorio è stato consegnato alle multinazionali dell’industria mineraria, dove sono stati lanciati progetti aberranti, in un’ottica neoliberale secondo la quale l’energia non è più un diritto fondamentale per l’umanità», le sue parole al momento della consegna del premio, quando non aveva perso l’occasione per denunciare le continue minacce di morte rivolte a lei stessa e alla sua famiglia.

La lotta contro il mega-progetto idroelettrico della diga Agua Zarca, volto a fornire energia a basso costo per i complessi minerari, resta una pagina luminosa della sua breve e coraggiosa vita. Davide contro Golia, le semplici e orgogliose popolazioni indigene contro due colossi economici – la Sinohydro, di proprietà dello Stato cinese e maggiore costruttrice di dighe al mondo, e la Desa, impresa honduregna con molti finanziamenti internazionali – uniti per la realizzazione del faraonico complesso idroelettrico da 22 Mw sul fiume Gualcarque, sacro ai Lenca e fonte d’acqua per circa 600 famiglie che abitano la foresta pluviale d’alta quota nel nord-est del Paese. Un progetto che attirò l’attenzione anche della Corporazione finanziaria internazionale (Ifc, istituzione della Banca mondiale) e fu approvato senza il consenso della comunità, contravvenendo così alla Convenzione Ilo sul diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni.

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Nel 2006, all’arrivo dei primi macchinari nella terra dei Lenca, quest’ultimi si rivolsero al Copinh per chiedere aiuto. La diga fu da subito identificata come una minaccia per la loro sopravvivenza e la gestione sostenibile del territorio. Berta fu in prima fila nella battaglia, portando il caso in Parlamento e chiedendo il diritto a “consultazioni libere, preventive e informate”, come sancito dagli accordi internazionali. Nel 2013 il governo del conservatore Juan Hernàndez concesse alla Desa un diritto trentennale sul fiume Gualcarque, scatenando la protesta degli indigeni, che per oltre un anno si mobilitarono per bloccare l’accesso al cantiere, resistendo a minacce, arresti, torture e sgomberi forzati da parte di esercito, polizia e guardie private.

Berta, nel frattempo formalmente accusata con altri attivisti per aver incitato i manifestanti a commettere i reati di usurpazione, coercizione e continuo danneggiamento nei confronti della Desa (accuse respinte e mai provate che rientravano nella politica governativa di criminalizzare la difesa dei diritti umani), presentò ricorso all’Ifc e portò il caso alla Commissione dei diritti umani interamericana, perorando la causa degli indigeni perfino di fronte alla Corte europea di Strasburgo e al Vaticano.

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Nel luglio 2013 Tomas Garcia, uno dei capi della protesta, fu ucciso durante una manifestazione pacifica. L’ennesimo fatto di sangue convinse la Sinohydro a sciogliere il contratto e l’Ifc a ritirare i fondi, motivando tale scelte rispettivamente con «le continue resistenza della comunità» e «la preoccupazione per le violazioni dei diritti umani». I Lenca avevano vinto, pur pagando un durissimo prezzo. «Siamo un popolo millenario e ci consideriamo custodi della natura, della terra e soprattutto dei fiumi. Quando iniziammo la lotta contro Agua Zarca sapevamo che sarebbe stata dura, ma sapevo anche che avremmo vinto, perché me lo ha detto il fiume», dichiarò Berta.

Recentemente l’ecologista indigena aveva denunciato la ripresa della repressione nei confronti dei militanti del Copinh, manifestando preoccupazione per la volontà della Desa di riattivare il progetto Agua Zarca, così come per la minaccia rappresentata da un’altra multinazionale, la Blue Energy, pronta a costruire su un altro fiume sacro ai Lenca, il Cangel. Il tre marzo l’orribile assassinio. Il Copinh, insieme ad altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani, chiede ora l’istituzione di una Commissione internazionale di investigatori indipendenti per far luce sull’episodio.

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«Berta era un’eroina in difesa dell’ambiente priva di paura. Conosceva i rischi a cui andava incontro col suo lavoro, ma continuava a guidare la sua comunità con straordinaria tenacia e convinzione. Ha costruito un’incredibile gruppo di attivisti in Honduras, che porteranno avanti la causa per la quale si è battuta ed è morta. Noi lamentiamo la perdita di una leader fonte d’ispirazione, e onoreremo quanto da lei fatto in vita continuando a mettere in rilievo il lavoro coraggioso dei vincitori del Goldman Prize come Berta», le parole di John Goldman. L’anima di Berta Caceres scorre sulle acque del Gualcarque. La lotta continua.

Marco Grilli





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