La storia di Arlecchino nasce tra i banchi di scuola, dall’amicizia dei bambini. Si narra infatti che una volta in una scuola ci fosse un bimbo molto povero di nome Arlecchino; questo bimbo viveva solo con la sua mamma in una casetta piccina illuminata solo da una candela. Un giorno, mentre si avvicinava la festa del Carnevale, la maestra disse ai suoi alunni di procurare ciascuno un costume per la festa in maschera!
Tutti i bambini ne furono entusiasti, anche il povero Arlecchino, pur sapendo che la sua mamma non avrebbe mai potuto comprare un costume, nonostante tutto si sarebbe divertito a vedere gli altri bimbi in maschera…
Un po’ di tristezza velava gli occhi del povero Arlecchino e questa tristezza non passò inosservata agli occhi dei suoi amici che decisero di portargli un pezzetto della stoffa del loro vestito, non pensando però che ogni pezzetto sarebbe stato di un colore diverso.
Arlecchino fu così felice di quel gesto che portò alla sua mamma tutti quei pezzetti di stoffa colorata, la quale li cucì tutti insieme per tutta la notte alla luce della sua candela, e al mattino anche Arlecchino aveva un suo originalissimo costume per la festa di Carnevale!
La mattina del martedì grasso, alla festa della scuola, quando Arlecchino entrò in classe, tutti lo accolsero con un fragoroso applauso perché il suo vestito non solo era il più bello e il più originale di tutti, ma era anche quello che rappresentava meglio lo spirito di amicizia dei bambini!
Arlecchino e le sue origini
La maschera di Arlecchino ha origine dalla Commedia dell’Arte bergamasca a metà del cinquecento, e nasce dalla contaminazione di due tradizioni: lo “Zanni bergamasco” e i “personaggi diabolici farseschi della tradizione popolare francese“, invece il personaggio storico ha origini molto più antiche e cupe, legato alle tradizioni agricole veniva così chiamato il demone sotterraneo “ctonio“; nel XII secolo fu Orderico Vitale a narrare nella sua “Storia Ecclesiastica” l’apparizione di una famiglia di Herlechini, un corteo di anime morte guidato da questo demone.
Anche Dante nella sua discesa verso gli inferi incontra un demone al quale si può ricondurre il personaggio: l’Alichino che appare nell’Inferno come capo di una schiatta diabolica.
Il nome di Arlecchino deriva dal germanico Hölle König (re dell’inferno), diventato poi Helleking e successivamente Harlequin. Queste derivazioni sataniche vennero introdotte dal cristianesimo, infatti in epoca pagana si credeva che durante l’inverno, o comunque il periodo dell’anno meno proficuo per la natura e i raccolti, e in concomitanza con le feste, gli spiriti dei morti corressero liberi tra i cieli e le terre con a capo la divinità del luogo, in seguito i cristiani mutarono queste credenze in “anime dei dannati capitanate da un oscuro re degli inferi”.
Durante il Medioevo la chiesa cercò in tutti i modi di sradicare le credenze pagane, ma non riuscendoci diede loro un aspetto comico sulle scene delle sacre rappresentazioni, una sorta di esorcizzazione del soprannaturale, una burla verso le credenze pagane legate ai miti della terra e dei suoi cicli vitali.
Ma tornando al nostro Arlecchino allegorico, esso è una delle maschere più divertenti di tutto il Carnevale con un carattere stravagante e scapestrato, dispettoso e irriverente, sempre pronto alle burle e agli scherzi di ogni tipo, per colpire i ricconi e gli avidi padroni. Nonostante tutto però ad Arlecchino ne succedono di tutti i colori (proprio come il suo abito!) perché la sua indole un po’ sciocca e scanzonata non gli fa valutare bene le situazioni e quindi spesso le sue burle gli si ritorcono contro.
Di seguito una divertente filastrocca da cantare insieme a tutti i bimbi a Carnevale:
IL VESTITO DI ARLECCHINO
Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino,
ne mise un’altra Pulcinella,
una Gianduia, una Brighella.
Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano
qualche macchia di vino toscano.
Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso
ma ci stava un tantino perplesso.
Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
“Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene li mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l’altro bolletta”.
Valeria Bonora