Lo Shintō 神道, la via degli dei.
Lo Shintō o la religione scintoista come la chiamiamo noi in Italia è un fenomeno tipicamente giapponese che caratterizza e vivifica tutta la cultura del paese del sol levante. L’incontro intimo con la natura, affascinante e maestosa anche nelle più semplici espressioni, è l’elemento più caratteristico di questa tradizione.
Ogni luogo ed ogni cosa è considerato come abitato da kami 道, le divinità vivono un rapporto complementare e molto vicino all’uomo. Il popolo giapponese li venera e li ricorda in certi luoghi considerati sacri, a loro dedicati per la bellezza estetica e naturale che esprimono. Ricordiamo il Monte Fuji venerato come montagna sacra e divina sin dai tempi antichi, ma anche le rocce, i sassi o le stesse tazze da tè hanno un legame con il divino in Giappone.
I due ideogrammi che formano la parola Shintō (神道) significano letteralmente ” via degli dei”, intesi come divinità spirituali presenti anche nelle forze della natura. Basandoci sui racconti mitologici del Giappone, il Kojiki (712) e il Nihonshoki (720) gli dei sono somiglianti agli uomini, con la differenza che gli uni agiscono invisibilmente, mentre i secondi appaiono in forme chiaramente umane, con virtù e difetti, poteri e debolezze. Secondo queste mitologie, il Giappone si è formato dalla discesa sulla terra di due divinità, Izanagi (il dio maschio che invita) e Izanami (il dio femmina che invita). Questa coppia divina è scesa sulla terra per ordine delle divinità celesti ed ha creato le isole e l’arcipelago giapponese insieme a tutti gli esseri viventi nella natura. Ma la loro opera creativa non finisce qui, esse hanno generato anche una miriade di altre divinità fra cui Amaterasu-Ōmikami, la dea del sole, che gode di un posto di rilievo nel pantheon scintoista. Secondo la tradizione infatti, la famiglia imperiale giapponese discende direttamente da questa divinità. L’imperatore Hirohito (1901-1989) fu l’ultimo imperatore del Giappone ad essere ufficialmente considerato di origine divina. Se diamo un’occhiata alle date non sono passati poi moltissimi decenni e sono convinta che nel loro cuore i giapponesi sono ancora molto ancorati a queste credenze popolari.
Le divinità nel loro concetto più puro sono spiriti superiori all’uomo, esseri provenienti dal cielo o esseri nati qui sulla terra, entrambi possessori di poteri speciali che si traducono in sentimenti di venerazione e di rispetto. Si tratta quindi di una fede sensibilissima al mistero dell’energia latente in tutti gli esseri della natura.
È un mondo multiforme e straordinariamente complesso che, non a caso, non è mai stato codificato in una teologia, perché è rimasto a livello di una fede etnica e puramente nazionale. Cito le stupende parole dello scrittore Fosco Maraini per cercare di addentrarci meglio in questo mondo meraviglioso: “lo Shintō può dirsi simile ad uno di quegli affascinanti paesaggi giapponesi, come se ne osservano durante la stagione delle piogge, quando intravedi appena tra misteriosi vapori e piume silenziose di nubi le cime di alcuni monti, una cascata, un profilo di boschi, il tetto curvo di un tempio lontano, ma devi poi completare con l’immaginazione queste sparse e vaghe pennellate per ricostruire una topografia precisa. Lo Shintō non vive di credi e di dogmi, ma di simboli ed intuizioni, di suggerimenti e di sussurri, d’allusioni e di poesia, di riti, di una liturgia accattivante, di architettura e giardini, di musiche, di silenzi – ma anche poi all’improvviso di orgiastiche e tumultuose espressioni popolari di gioia“.
Se qualcuno di voi si domanderà se questa antichissima religione, originaria sin dai tempi delle due più antiche mitologie giapponesi sopra citate ( Kojiki 712 e Nihonshoki 720) sia ancora viva nel Giappone di oggi, ebbene sì, sono convinta che è ancora onnipresente in tutti gli strati di questa affascinante società.
La troviamo nell’atteggiamento tipico giapponese di non essere troppo diretti, di non mettere a fuoco tutto subito, sia nel linguaggio che nel comportamento. Si preferisce suggerire, vagare e porgere inviti ad intuizioni senza mai essere troppo schietti e precisi. Lo notiamo negli sguardi degli occhi spesso non diretti ma volti leggermente verso il basso, nelle presentazioni, è come se non tutto ma tanto venisse lasciato al caso. Lo Shintō è ben visibile nei riti di purificazione: i giapponesi non amano fare il bagno nella vasca ( Ofuro お風呂 ) senza aver prima purificato il corpo con una breve ma intensa doccia. Lo ritroviamo nell’assidua frequentazione delle terme, considerate luoghi sacri di purificazione del corpo ma anche dell’anima. La pulizia è una componente essenziale dello shintoismo e la purificazione per eccellenza consiste nel rimanere sotto una cascata o di eseguire delle abluzioni rituali alla foce di un fiume o nel mare. Ecco di nuovo presenti gli elementi naturali: conservare il contatto con la natura comporta il raggiungimento della completezza e della felicità e permette di essere vicino ai kami. Come tale la natura va rispettata, venerata e soprattutto tutelata perché da essa deriva l’equilibrio della vita.
Presenti ancora oggi nella società giapponese sono i matsuri ( 祭 ), le festività dedicate ai kami. Nei giorni di festa si prega nei templi o nelle proprie case per festeggiare le divinità. Ancora oggi con i riti dello Shintō si presentano i neonati al sacrario di famiglia, si celebrano in grande maggioranza i matrimoni, nelle campagne si semina e si trapianta il riso, mentre nelle città si benedicono fondamenta di case e condomini. Il sacerdote Shintō (kannushi 神主) con le sue vesti bianche, celesti, viola a seconda delle circostanze, è presente ovunque si dia l’avvio ad attività produttive. Siamo dunque in un clima estremamente favorevole non solo all’accettazione della scienza, ma anche ad una esplosione smodata e frenetica della tecnologia, in tutte le sue manifestazioni. A questo pragmatismo Shintō va collegato infine un atteggiamento positivo nei riguardi del profitto. In questo aspetto la tradizione scintoista è vicina a quella giudaica e protestante, secondo le quali il successo terreno e i soldi stessi sono i testimoni di un compiacimento celeste per l’opera dell’uomo giusto, ponendosi in netto contrasto con il nostro mondo cattolico che annusa il profitto con sospetto.
Concludo collegandomi alle suggestive parole di Fosco Maraini, avendo personalmente constatato che il Giappone ama ciò che non è formulato, si accontenta di suggestioni sottili; si scopre che il bianco ( in particolare nelle opere di Shodō “arte della scrittura”) è certe volte più eloquente del nero. Come nello Shintō la cosa essenziale è quella che non è detta né scritta, le massime esperienze restano volutamente indefinite, velate dalla maestà dell’ignoto con un profondo senso di rispetto e riverenza verso gli dei e la natura.
Barbara Baccini