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Spiritualità

Monte Fuji in Giappone: le meravigliose immagini di un viaggio iniziatico

Di Barbara Baccini - 21 Dicembre 2015

Il Monte Fuji – Fujisan 富士山 Un viaggio iniziatico

Il Monte Fuji è il più celebre e venerato vulcano del Giappone, alto 3.776 metri, la vetta più alta del paese. Si caratterizza per la sua forma conica perfetta in completa armonia con la natura ed il paesaggio circostante. Le sue pareti simmetriche che si appiattiscono verso il fondo, gli conferiscono una particolare eleganza. Sorge vicino al mare a circa 100 km da Tōkyō ed offre panorami di grande bellezza anche se visto dall’interno del paese. In realtà, per i giapponesi è molto più di una montagna, poiché raccoglie in sè la forza e la meraviglia della natura, l’eleganza e la perfezione divina, così ben raccontate e rappresentate dagli artisti lungo il passare del tempo.

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Secondo quanto si legge in un racconto del X sec., il Taketori Monogatari 竹取物語 “Il racconto di un tagliabambù”, il nome Fujisan significherebbe montagna immortale. Una sorta di soldato ( ji 士 di bushi 武士) immortale che con la sua forza rimane ancorato sulla cima della montagna sacra. Fujisan, essendo stato un vulcano attivo fino al 1.708, suscita fin dall’antichità timore e rispetto nei giapponesi finendo per essere venerato come una vera e propria divinità. Anche in questo caso, come in tutta la società giapponese, troviamo una profonda reverenza e rispetto per la natura.

Secondo la religione Shintoista in Giappone vi sono più di milletrecento santuari dedicati all’adorazione di kami (神 divinità) della montagna. La divinità principale è Konohanasakuyahime, manifestazione ultraterrena della vetta del Fuji, la sposa di Niniginomikoto, dio del cielo. Per via della sua fedeltà è considerata una modello per le donne giapponesi. È adorata come protettrice delle donne in gravidanza e dei navigatori, oltre ad essere riconosciuta come la divinità protettrice della pesca, dell’agricoltura e della tessitura. Non dimentichiamoci che il Monte Fuji sorge vicino al mare, quindi è coniugabile con le visioni delle onde, delle spiagge, delle scogliere e delle frangenti.

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Da ottobre a maggio le sue cime sono ricoperte di neve ed in questo periodo le sue pareti innevate sono un gioiello di incomparabile bellezza nel panorama dei dintorni di Tōkyō. Tutta la zona attorno al Fuji è cosparsa di sorgenti calde, alcune sono molto famose e frequentatissime dai viaggiatori. Sulle sue falde settentrionali e occidentali vi sono i cinque laghi vulcanici, disposti ad arco, circondati da piante di pruno, ciliegio e da azalee. Si estende anche una vasta e selvaggia foresta di conifere chiamate ” il mare di alberi”.

La sua salita costituiva nel passato un atto di pellegrinaggio religioso secondo la tradizione Shintō. Gli asceti raggiungevano la vetta del vulcano facendo un vero e proprio percorso iniziatico che li portava sulla cima della montagna per pregare presso i templi dedicati alla divinità Fuji ed abbeverarsi presso le due sorgenti sacre di Kinmeisui ( 金明水 la sorgente dell’acqua dorata) e di di Ginmei-sui (銀明水 la sorgente dell’acqua argentata), dalle proprietà taumaturgiche.
Sin dal medioevo la tradizione ascetica dello shugendō 修験道 (via dell’ascetismo) insegnava come il viaggio simbolico nella montagna fosse l’equivalente di un percorso iniziatico, in cui l’esperienza della dimensione cosmica avveniva unendo la concretezza del cammino e l’astrattezza di una serie codificata di visioni. La foresta ai piedi della montagna ad esempio brulica di presenze sfuggenti, spiriti senza pace, animali fantastici e ambigui che guidano l’asceta verso la solitudine della cima.

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D’inverno invece la montagna è resa inaccessibile dalla neve alta e dalle slavine che rendono l’accesso alla cima ancora più difficile e pieno di timore. In questa prima fase di cammino, l’asceta vaga per giorni senza riposo, al freddo, senza mangiare e senza lavarsi, e si concentra sugli orrori del mondo degli inferi. La concentrazione deve essere ancora più totale, il suo corpo, come la sua mente, si chiudono e si stringono ancora più in sé: l’asceta si impone di non bere. Sofferente nel corpo, egli sta sperimentando la condizione spirituale di illusione degli esseri prigionieri nel ciclo delle rinascite.

Vinti i suoi mostri interiori, l’asceta sale al mondo degli uomini. Siamo a metà cammino, il bosco è ormai rado e la vista si allarga a scorci più vasti. Qui ha la possibilità di meditare sull’angoscia dell’impermanenza e sui suoi limiti. Ma c’è ora una luce diversa nella sua mente dopo il buio della foresta che ha attraversato. Prega con la fronte a terra, meditando sulla virtù morale presente in ogni uomo e sul significato dei precetti della retta condotta ( benevolenza, giustizia, onestà, saggezza e lealtà). È in questa seconda fase che comincia a sbocciare dentro di lui la compassione per tutti gli esseri viventi. Più calmo, fiducioso e sicuro di sé prosegue il suo cammino verso l’alto.

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Solo quando si avvicina alla cima entra nel mondo della divinità e sperimenta il terzo livello della mente. Come un bambino stanco che cerca conforto nell’abbraccio della mamma, si affida completamente agli dei, abbandonandosi totalmente. È a questo a livello che comprende la propria impermanenza e distacco da tutte le cose. La cima della montagna è veramente il punto ultimo dove tutto si concentra per poi negarsi; il limite finale dove lo spazio arriva alla propria dissoluzione.
L’asceta comprende che sia l’io sia il mondo non hanno natura sostanziale: la realtà è impermanenza. La sua mente diventa un semplice specchio del mondo senza volerlo frammentare in categorie concettuali arbitrarie. Capisce in questo alto stadio che la realtà non è nient’altro che la mente stessa.
Ora l’asceta è finalmente libero ed è consapevole che quel Budda dell’universo non è altro che lui stesso. È ora libero di scendere dalla montagna, saltellando e volando a passi leggeri come una divinità.

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Barbara Baccini





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