Si muovono a nord della regione del Kaokoland delimitata a nord dal fiume Kunene al confine con l’Angola, e a sud dal fiume Hoanib; gli Himba sono una popolazione nomade della Namibia che segue la transumanza delle mandrie di bovini in cerca di acqua.
Lo stile di vita tradizionale degli Himba è rimasto immutato dal 1920 quando tornarono nelle loro terre dopo la fuga in Angola per sfuggire alle aggressioni Nama nel XIX secolo.
Questa popolazione ha una struttura prettamente matriarcale, dove la donna si occupa del villaggio, composto da più capanne costruite con rami di mopane, sterco e fango, queste capanne sorgono intorno ad una capanna centrale. tutto il villaggio è protetto dagli attacchi di animali notturni con un recinto di rami spinosi.
La struttura sociale è complessa ed è basata sulla gerarchica femminile: ogni bambino Himba appartiene sia ad un clan patrilineare che ad uno matrilineare, ed ogni clan discende da un antenato comune. La poligamia è ammessa, il primo matrimonio è stabilito dagli anziani, ma sia gli uomini che le donne possono avere altri partner e altri matrimoni.
I diversi clan della popolazione differiscono anche nelle regole, alcuni clan per esempio hanno il divieto di mangiare la carne di un determinato animale o la proibizione per le donne mestruate di mungere le vacche.
La popolazione Himba pratica la religione animista, la donna più anziana del villaggio si occupa del fuoco sacro, sempre acceso al centro del villaggio, che rappresenta lo spirito protettivo del Bene.
Le donne come già detto ricoprono un ruolo importante in questa società, oltre all’accudimento dei più piccoli, svolgono i lavori più pesanti, raccolgono l’acqua, costruiscono le capanne, intrecciano cesti e pestano nei mortai il mais o la terra rossa, ma nella popolazione Himba sono conosciute per un altro motivo: Sono definite “Belle come statue“.
Le donne Himba infatti assomigliano a statue di terracotta, grazie ad un impasto di polvere d’ocra, erbe e burro di capra; loro spalmano questa sorta di “fondotinta” sulla pelle e sui capelli, intrecciati a formare dei dreadlocks, per proteggersi da scottature e punture di insetto; sono alte, fiere e molto orgogliose del loro sinuoso corpo, indossano solamente gonnellini di pelle, calzano sandali in cuoio, lasciano i seni scoperti.
Questo make up dona loro un colore rossastro che nella loro cultura è considerato attraente, purtroppo per mantenere morbida la mistura sulla pelle devono applicare la crema di terra anche 2 o 3 volte al giorno. L’aridità delle zone in cui vivono non permette loro di lavarsi sovente, ma se trovano un’oasi fanno volentieri il bagno, mentre gli abiti vengono “purificati” col fumo dell’incenso estratto dal legno dell’albero Commiphora multijuga.
Grande importanza viene invece riservata ai capelli che indicano lo stato sociale: due trecce rivolte in avanti indicano che la donna è giovane, una ragazzina, quando sopraggiunge la pubertà i capelli vengono sciolti e intrecciati in diverse trecce e ricoperte della mistura di ocra e grasso, da questo momento la ragazza è considerata adulta e può avere rapporti sessuali. Quando una donna si sposa aggiunge in testa un ciuffo di pelle di antilope rivolta quando è vedova.
La donna Himba porta sul suo corpo un’altra caratteristica, considerata icona del popolo: una conchiglia fra i seni, proveniente dai mari dell’Angola e considerato un simbolo di fertilità.
Anche per gli uomini Himba i capelli indicano lo stato sociale, per esempio i giovani li portano rasati con un solo ciuffo in mezzo alla testa che cresce fino in età adulta quando viene intrecciato all’indietro.
Quando l’uomo raggiunge l’età del matrimonio divide i capelli in due trecce e se si sposa dovrà poi coprirli con un berretto che può togliere solo in caso di lutto o per dormire con la sua donna. Gli uomini proteggono il loro corpo con un impasto fatto di grasso e erbe annerite dal fuoco, vestono con un gonnellino in pelle e sandali, con l’aggiunta di una grossa collana di cuoio e ferro ricoperta di grasso.
In rete gira una bellissima leggenda riguardo a questa popolazione, parla del fatto che ad ogni bambino alla nascita è associata una canzone.
❝La data di nascita di un figlio non viene conteggiato da quando nasce, né da quando è concepito ma dal giorno in cui il bambino era un pensiero nella mente di sua madre.
Quando una donna decide che avrà un bambino, va fuori e si siede sotto un albero, da sola e ascolta fino a quando può sentire, il canto del bambino che vuole venire. Dopo aver sentito la canzone di questo bambino, lei torna da colui che sarà il padre del bambino e la insegna a lui.
Poi, quando fanno l’amore per concepire fisicamente il bambino, per un po’ di tempo cantano la canzone del bambino, come un modo per invitarlo e quando la madre è incinta, insegna la canzone del bambino alle levatrici e alle vecchie donne del villaggio, in modo che quando il bambino nascerà, le donne anziane e le persone intorno a lei, cantino la canzone del bambino per accoglierlo.
Se in qualsiasi momento durante la sua vita, la persona commette un crimine o un atto sociale aberrante, l’individuo è chiamato al centro del paese e le persone della comunità formano un cerchio intorno a lui o lei e poi gli cantano la sua canzone.
La tribù riconosce che la correzione per un comportamento antisociale non è la punizione ma è l’amore e il ricordo della propria identità.
Quando si riconosce la propria canzone, sparisce la voglia o il bisogno di fare cose che possano ferire un altro. Va così la loro vita: nel matrimonio, le canzoni sono cantate, insieme.
Infine, quando questo bambino adulto è sdraiato sul letto, pronto a morire, tutti gli abitanti del villaggio conoscono il suo canto e cantano, per l’ultima volta, il canto a quella persona.❞
Da una popolazione che vive lontano dalle contaminazioni moderne, a stretto contatto con la terra, con la natura, con gli animali, è possibile immaginare queste magnifiche donne che cantano ai loro figli la loro canzone, quella che li accompagna per tutta la vita, che è la loro “carta d’identità“, un qualcosa che li legherà per sempre al suo popolo, una canzone che li aiuterà sempre a ricordare chi sono e l’amore della mamma.
Per vedere le bellissime foto degli Himba scattate da Eric Lafforgue potete aprire questo pdf -> The Himbas.
Valeria Bonora