“Anch’io sono un po’ psicologo” è una frase che ho sentito molto spesso perciò, in un misto di ironia e “ferita narcisistica professionale”, ho pensato di scrivere questo articolo.
Molti amano parlare di psicologia, sia in televisione, sia su internet, sia per strada, l’importante è che a farlo non siano gli psicologi. Questa scienza, infatti, affascina tanti e c’è chi si fa avanti con teorie proprie o lette da qualche parte, ma se uno di noi propone una propria riflessione spesso si “storce il naso”.
Sicuramente, in parte, è colpa nostra che non siamo riusciti a tutelare completamente la nostra professione da persone non formate a sufficienza, che con vari titoli sono intervenute in svariate situazioni al posto nostro. Inoltre, non voglio dire che le persone non si devono interessare ed informare, anzi! Sono convinta che la conoscenza sia la miglior arma per difendersi, ma aver letto “L’Interpretazione dei Sogni” di Freud o aver seguito qualche seminario non rende psicologi, così come riconoscere i sintomi dell’influenza o essere fan sfegatati del Dr House non rende medici.
L’intento di questo articolo, quindi, è proprio quello di spiegare chi è lo psicologo e che cosa fa come tutela dell’utenza e dei professionisti.
Partiamo dal punto principale, per dichiararsi psicologo e svolgere la professione bisogna avere una laurea di 5 anni in psicologia, aver superato l’Esame di Stato ed essere iscritto all’Ordine degli Psicologi. Quindi utilizzare strumenti psicologici, come ad esempio il colloquio clinico, la somministrazione di test o fare una diagnosi psicologica senza questi requisiti è un reato punibile penalmente, in quanto si parla di abusivismo della professione come riportato nell’articolo 348 del Codice Penale. Questo, oltre ad essere disonesto, è molto pericoloso per la persona, perciò un consiglio per chi decide di fare un percorso psicologico è di informarsi su chi è il professionista da cui si sta andando.
Scoprire chi si ha di fronte è più semplice di quanto si possa pensare, dato che basta andare sul sito dell’Ordine regionale o nazionale (www.psy.it) cliccare su albo e scrivere il nome del professionista; se non è presente avete incontrato uno dei tanti furbetti che pensano di mangiare sulla pelle degli altri ed è quindi importante segnalarlo alle autorità competenti.
Spesso, inoltre, si ha un’idea sbagliata di cosa si fa in quella famigerata stanza dello psicologo, c’è chi pensa erroneamente che ci vanno solo “i pazzi”, chi, invece, crede che il professionista ascolti i fatti e dia consigli, così come fa un amico, una sorella, un genitore.
Non è così! Se è assolutamente vero che lo strumento principe per noi è il colloquio, primo, ovviamente, siamo tenuti al segreto professionale, secondo, ma non certo per importanza, nel lungo iter formativo lo psicologo impara ad ascoltare con quello che Reik ha definito “il 3° orecchio“, leggere al di là delle semplici parole dette, decodificare il non verbale, avere conoscenza della mente umana, della sua struttura e funzionamento, da poter guardare le cose da un punto di vista altro.
Inoltre, veniamo formati all’astensione del giudizio, che non si basa semplicemente sul non giudicare, ovviamente, la persona e ciò che ci riporta, ma anche al non dare i famigerati “consigli per l’uso”; questi ce li possono dare le persone che ci vogliono bene e ci sono vicine, sulla base delle loro esperienze, non il nostro psicologo che sa, come diceva Jung, che “la scarpa che sta bene ad una persona sta stretta ad un’altra: non c’è una ricetta di vita che vada bene a tutti”, quindi non ci può dire quale sia la soluzione sicura e universale al problema, perchè probabilmente sarebbe quello che farebbe lui/lei e non è detto che andrebbe bene all’altro.
La mente umana è così complessa che non si può rinchiudere in un semplice assioma causa – effetto e in più, parliamoci chiaro, a nessuno di noi, concluso il percorso di studi, è stato dato insieme alla pergamena di laurea il “libro delle verità assolute”. Quest’ultimo punto lo ritengo importante anche per sfatare un po’ quell’immagine che spesso si accolla a chi fa questo mestiere, cioè quella di chi dovrebbe fare/dire sempre la cosa giusta al di sopra delle normali “questioni umane”… quante volte, nella vita privata, mi sono sentita dire “proprio te che sei psicologa…?”, “sì proprio io” è la risposta che dò solitamente, perchè se è vero che iniziata la professione ci viene caldamente consigliato di fare un lavoro su noi stessi, per conoscere e gestire il nostro mondo interno, (come potremmo mai aiutare qualcuno se prima non aiutiamo noi stessi!) rimaniamo persone normali, con emozioni, idee, pregi e difetti; è anche per questo che non possiamo essere psicologi di persone che conosciamo o con cui abbiamo una relazione, il nostro “essere normali” andrebbe ad influire sul nostro giudizio e non riusciremmo ad avere una visione obiettiva e neutra dei fatti.
Altro punto che ci tengo a chiarire, provocatorio ma importante, è che non siamo buoni, o almeno non dovrebbe essere il motivo principale che ci spinge a fare questo mestiere; per di più all’utenza non dovrebbe interessare questo aspetto, come con ogni professionista (medico, avvocato, ingegnere…) bisogna pretendere che sia onesto e competente, se è buono o meno passa in secondo piano. Quindi altro consiglio, attenti a chi dice “ho scelto questa professione perchè sono buono”, il nostro lavoro, come qualsiasi altro, necessita di passione che permetta la spinta ad andare avanti, rimanere aggiornati, avere rispetto di sè stessi e dell’utenza, essere consapevoli dell’aiuto che possiamo dare all’altro, ma anche di quanto l’altro può dare a noi in termini di consapevolezza e crescita professionale, ma attenzione: un conto è la passione, un conto la missione!
Differenza tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra!
Voglio inoltre informare su chi sia lo psicoterapeuta, dato che spesso le due figure si confondono. Questo è un professionista che, oltre ad avere i requisiti dello psicologo, o la laurea in medicina, ha intrapreso un ulteriore percorso formativo di 4/5 anni (a seconda dell’impostazione dell’istituto) presso una scuola di specializzazione riconosciuta dal MIUR. Lo psicoterapeuta è utile in tutte quelle situazioni in cui non basta un supporto psicologico, ma risulta necessaria una terapia e quindi un lavoro più lungo e profondo per comprendere l’origine del malessere dell’individuo.
Con terapia non intendo quella farmacologica, in quanto questa può essere somministrata solo da medici e quindi, nel campo della salute mentale, dagli psichiatri o dagli psicoterapeuti che, però, hanno la laurea in medicina. Ci tengo a sottolineare che spesso queste tre figure lavorano in collaborazione, cioè in alcuni casi si ha una vera e propria equipe, in altri, se uno dei professionisti si rende conto che la persona che ha di fronte necessita di un altro tipo di aiuto, è suo dovere informarla e proporle un altro tipo di percorso più consono alle sue esigenze.
Ma quando andare dallo psicologo?
La prima cosa da tenere presente è che rivolgersi ad uno psicologo non implica l’essere pazzi nè l’acquizizione di un’etichetta di anormalità o diversità. Richiedere una consultazione psicologica vuol dire prendersi cura di sè al pari del rivolgersi ad un medico per dei sintomi fisici. Le situazioni in cui può essere utile intraprendere un percorso variano in base all’età e sono talmente disparate che è impensabile cercare di rinchiuderle in un semplice elenco, vi riporterò comunque alcuni esempi.
Adulti
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ansia eccessiva o ingiustificata dalla situazione
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difficoltà ad entrare in relazione con gli altri
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difficoltà a provare o a manifestare le emozioni, siano queste positive o negative
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problematiche legate alle dipendenze (alcol, droghe, sessualità, gioco d’azzardo, internet, affettività)
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repentini cambiamenti d’umore
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problematiche comportamentali
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sintomi fisici che, nonostante gli esami clinici, non trovano una spiegazione corporea
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rapporto conflittuale con il cibo
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difficoltà nel sonno
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problematiche di coppia o sessuali
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difficoltà nel ruolo genitoriale
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difficoltà nell’affrontare la perdita di una persona cara
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problematiche lavorative
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essere vittime di violenza
Adolescenti
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problematiche relazionali
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problematiche comportamentali
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disorientamento rispetto alla propria vita o identità
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alti livelli di conflittualità all’interno della sfera familiare
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difficoltà scolastiche
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dubbi sul proprio futuro
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autolesionismo
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difficoltà con se stessi
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bullismo
Bambini
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paure eccessive e ingiustificate
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comportamenti non adeguati all’età
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comportamenti violenti contro se stessi, altri e/o animali
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grosse difficoltà a tollerare la distanza dai genitori
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rifiuto sistematico del cibo
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difficoltà scolastiche, di attenzione e/o apprendimento
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difficoltà nell’accettare la nascita di un fratello/sorella
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violenza subita o assistita, cioè essere testimoni di atti di violenza all’interno o all’esterno della famiglia
Il saggio dice:
“Bisogna essere di mente aperta, ma non tanto da far cadere il cervello” (P. Angela)
Dott.ssa Francesca Paoletti