Mentre l’autunno si mette al lavoro e ci scatena contro venti e piogge, noi ci occupiamo del cambio stagione e ci accorgiamo che forse è il caso di fare un salto per le vie del centro per dedicarci un po’ allo shopping.
Scarpe, maglioni, sciarpe e cappotti sono necessari, acquistiamo ciò che più ci piace, cerchiamo occasioni e prezzi moderati e torniamo a casa felici, rigenerati perché spesso andare per negozi è rilassante e terapeutico.
Ma ci siamo mai chiesti cos’è davvero ciò che stiamo comprando?
Che abbia la forma di una borsa o di un pantalone, cosa è servito perché prendesse forma, di cosa è fatto e, soprattutto, la sua nascita è stata causa di sofferenze?
In realtà ci sono due tipi di abbigliamento, quello che uccide perché è fatto di animali e quello cruelty-free, naturale e senza colpe.
Purtroppo col tempo ci siamo convinti del fatto che per sopravvivere alle stagioni troppo fredde o troppo calde siano necessarie pelli, piume e pellicce che, ovviamente, non ci appartengono perché necessarie solo a quelle creature alle quali sono state donate dalla natura.
Noi invece, che ci siamo evoluti e abbiamo imparato a creare, lavorare e raffinare gli elementi, abbiamo a nostra disposizione una varietà di materiali che si trovano in natura e che necessitano solo di qualche modifica per diventare a tutti gli effetti capi d’abbigliamento fatti apposta per noi, senza crudeltà e torture nè costi elevati.
Pensiamoci bene e tiriamo fuori un po’ di sensibilità che sta lì a soffocare, liberiamola e riflettiamo: riguardo alla produzione della lana, le pecore non vengono tosate con delicatezza e subiscono tagli e profonde ferite durante la procedura; le piume d’oca vengono strappate con violenza dal corpo dell’animale e questo provoca traumi e un doloroso disequilibrio tra la temperatura esterna e quella delle oche “spogliate”; la pelle è ricavata dai macelli e accenniamo soltanto alla produzione delle pellicce, argomento vergognoso e azione ingiustificabile.
Quello che ne viene fuori è una situazione di assoluta tristezza nella quale gli animali sono solo vittime e noi carnefici spesso inconsapevoli.
Dovremmo abituarci a leggere le etichette, riportano tutte le caratteristiche del prodotto e scopriremo che è davvero semplice, diventerà poi quasi necessario perché significherebbe dare a noi stessi la possibilità di scegliere ciò che riteniamo corretto piuttosto che accettare quello che il mercato ci impone.
Quando ci troviamo a passeggiare all’interno dei negozi facciamo una scelta consapevole e privilegiamo capi di velluto o flanella piuttosto che lana, capi in poliestere piuttosto che imbottiti di piume, capi in microfibra piuttosto che di pelle o cuoio.
I negozi cruelty-free non sono molti e la mancanza di interesse riguardo l’argomento è evidente dal fatto che gli unici negozi che rispettano gli animali si trovano in questa lista di negozi cruelty-free. Se siete interessati a vestirvi in modo non-violento vi consigliamo di seguire il progetto stiletico, uno dei principali siti italiani di raccolta di aziende di abbigliamento cruelty-free che rispettano i diritti dei lavoratori tessili e degli animali.
Stiletico in collaborazione con AgireOra ha creato un un opuscolo a colori che spiega cosa evitare e cosa scegliere vestirsi e arredare casa senza crudeltà sugli animali. Se vi interessa scaricate gratuitamente l’opuscolo Vestire Vegan.
Ma ovunque la vendita è varia e in ogni negozio è possibile trovare abiti cruelty-free e non, basta solo controllare l’etichetta.
Le scarpe invece richiedono una maggiore attenzione perché spesso la suola è in cuoio e tutto il resto è fatto di pelle e si nota sia per l’aspetto sia per i prezzi elevati; ma grandi catene d’abbigliamento, come H&M e ZARA, propongono calzature fatte con materiali sintetici e di animali non c’è nessuna traccia, i prezzi sono bassi e la durata del prodotto è assicurata.
Allontaniamoci invece dalle grandi firme perché appartengono ad un mercato troppo cinico e crudele che pensa a vendere e ad espandersi, deve abbattere la concorrenza ed è una vera e propria guerra tra giganti che mai, proprio come ogni guerra, potrà essere in grado si lasciare un po’ di spazio al rispetto dell’altro.
Gaia Di Giovanni