La caccia alle balene, e più in generale a tutti i cetacei di grandi dimensioni, ha origini antiche risalenti almeno al 6000 a.C., anche se lo sviluppo vero e proprio risale al XVI Secolo nell’oceano Atlantico e al XIX Secolo nell’oceano Pacifico.
La caccia alle balene è stata da sempre al centro di numerore controversie e dispute diplomatiche internazionali: chi si oppone, infatti, alla caccia commerciale, e chi, invece, all’industria turistica che presenta le balene come attrazione nei confronti della popolazioni.
Nel mirino è finito adesso il Giappone, accusato di cacciare balene a scopi puramente commerciali e non scientifici, andando incontro a qualcosa di illegale.
Il Giappone, infatti, era l’unico stato, la cui attività era giustificata proprio perchè rientrava in un programma di ricerca scientifica, lo Jarpa II, per quanto poi queste “cavie” finissero comunque nelle pance dei consumatori.
Secondo i dati di Canberra, dal 1988 a oggi il Giappone avrebbe violato la messa al bando commerciale macellando oltre 10.o00 cetacei, 3.600 dei quali catturati nell’ambito del programma Jarpa II. Questo nonostante il sabotaggio degli eco-guerrieri di Sea Shephard, pronti a frapporsi come barriera fisica tra prede e baleniere.
Secondo i dati Greenpeace, invece, pare che il Giappone faccia ogni anno strage di oltre 500 esemplari di balene, mascherando questa caccia con “fini scientifici”.
Per non parlare delle 6.000 tonnellate di carne di balena che i giapponesi avevano l’anno scorso nei magazzini, carne di cui non sapevano cosa farsene.
Sì, perchè in Giappone il consumo di carne di balena è ormai diminuito a causa del suo enorme potenziale tossico: come tutti i pesci di grande taglia, infatti, le balene accumulano nel loro corpo, in particolar modo nelle molecole grasse, tutti i veleni che oggi si trovano in mare, in particolare i metalli, che finiscono poi nel nostro organismo.
E così ecco che la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dell’Aja ha decretato che il Giappone dovrà interrompere la caccia a questi cetacei.
L’organo giudiziario dell’ONU ha così risolto il duro contenzioso sollevato nel 2010 dall’Australia che aveva citato il Giappone in giudizio chiedendo una pronuncia sulla caccia alle balene ritenuta “mera attività commerciale”.
L’accusa, infatti, era di aggirare con la scappatoia della ricerca scientifica il divieto di caccia alle balene del 1986.
Il giudice Peter Tomka, nel corso dell’udienza al Palazzo della Pace a L’Aja, ha così dichiarato la sentenza:
“Il Giappone deve revocare ogni autorizzazione, permesso o licenza esistente legata allo Jarpa II e astenersi dal rilasciare ulteriori licenze in futuro.”
Alessandro Gianni, direttore delle campagne di Greenpeace, ha così commentato questa decisione:
“Siamo soddisfatti, sosteniamo da sempre che la caccia alle balene nell’oceano Antartico non è necessaria per la scienza e deve essere abbandonata…”
Ora, piuttosto che la caccia, quello che ci si augura è che venga sostenuta la creazione di una rete di aree protette nell’Oceano Antartico per proteggere questa specie marina ma, soprattutto, l’intero ecosistema.
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