Ci troviamo nuovamente a parlare di quelle varietà di pesci che un tempo erano di “lusso”, mentre adesso non lo sono più.
In questo caso parliamo di crostacei e, per la precisione, di gamberetti, tra più apprezzati dal punto di vista gastronomico, che oggi possibile trovare in grandi quantità in qualunque periodo dell’anno.
Tanti piccoli, quanto dannosi dal punto di vista ecologico. Prima di arrivare nel reparto surgelati dei supermercati a prezzi economici, infatti, la raccolta dei gamberetti reca non pochi danni all’ambiente, sia che si tratti di gamberetti da allevamento sia che si tratti di gamberetti selvatici pescati “a strascico”.
Per quanto riguarda i gamberetti da allevamento, uno dei problemi più gravi è la distruzione, lungo le coste tropicali, di ampie zone di foreste di mangrovie per fare spazio agli impianti di acquacoltura dove appunto allevare i gamberetti.
Le mangrovie non sono solo la culla di una ricchissima biodiversità animale e vegetale, sono anche un baluardo contro l’erosione dei suoli e una sorta di zona-tampone che protegge le regioni costiere dagli uragani e dai maremoti.
Inoltre, la scomparsa delle mangrovie ha conseguenze catastrofiche sulla pesca artigianale, fonte di cibo e reddito per numerose comunità locali.
E si tratta di danni permanenti, che rende queste zone poi invivibili: si calcola che bastino 1,5 mq di terreno per produrre 1 kg di gamberetti, ma questo deve essere prima liberato dalle mangrovie e altri alberi acquatici e, dopo 10 anni di sfrutamento, tale terreno è ridotto a in uno stato tale da non potervi cresce nulla per almeno 40 anni.
L’allevamento di gamberetti, inoltre, ha bisogno di quantità enormi di cibo e provoca un inquinamento altrettanto rilevante dei rifiuti nelle acque costiere: cibo non consumato, escrementi, plancton, batteri, materie disciolte (ammoniaca, urea, diossido di carbonio e fosforo), antibiotici e altri composti chimici come i disinfettanti, i prodotti d’ammendamento del suolo e dell’acqua, i pesticidi e i fertilizzanti. Gli antibiotici e altri prodotti chimici, tra l’altro, possono rivelarsi tossici anche per la fauna e la flora selvagge circostanti.
Tali sostanze inquinanti sono persistenti, tossiche, stimolano la resistenza e potenzialmente hanno effetti sulla salute degli allevatori e dei consumatori.
Ma la situazione non cambia con i gamberetti selvatici pescati “a strascico”. Un metodo, questo, che causa considerevoli catture accidentali: la rete a strascico, infatti, spazza tutto ciò che trova sul suo passaggio. Che si tratti di pesci, squali, tartarughe di mare minacciate o a rischio d’estinzione. Qulasiasi forma di vita marina insomma.
Vero è che alcuni pescatori hanno adottato misure per ridurle per catture accidentali, per esempio impiegando sistemi che permettono alle tartarughe marine di scappare dalle reti. Tuttavia, non c’è nessuna etichettatura particolare che consenta al consumatore di differenziare questi prodotti al momento dell’acquisto.
Non solo. La pesca a strascico può avere ripercussioni drammatiche anche sull’ambiente marino, perchè le pesanti reti a strascico impiegate per la cattura dei gamberetti possono danneggiare l’habitat naturale in cui vivono, come per esempio le barriere coralline.
Insomma, bisognerebbe evitare di consumare quei gamberetti provenienti da allevamento e quelli selvaggi, per prediligere invece quelli provenienti da allevamenti biologici.
Prestate sempre attenzione alle etichettature e, ogni volta che consumate dei gamberetti, che sia nei ristoranti così come a casa, ricordatevi sempre cosa si cela dietro la loro cattura.
[Fonte: www.slowfood.it]
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