Molti di noi considerano gli animali come merce di un bancone in una macelleria, fatti apposta per essere una portata del nostro pranzo.
Avete mai pensato che quel vitello o quel maiale può provare dolore o simpatia verso un suo simile o verso l’animale uomo? Secondo molte persone questi sono sentimenti che può provare solo l’essere pensante e sono una concausa del raziocinio. Solo gli animali da compagnia, che sono abituati al contatto con l’uomo possono interagire con empatia con noi, ricambiandoci l’affetto che gli diamo perchè appunto, sono “abituati” a farlo? No, non è così.
Indubbiamente ci sono animali più socievoli di altri ma tutti sanno rapportarsi e scambiare affetto, creare quello “stato d’animo” positivo che ci fa, e li fa, stare meglio.
Qui di seguito eccovi alcuni meravigliosi scatti che ho trovato navigando in rete che ci fanno comprendere come il rapporto umo-animale è un rapporto che viene costruito quotidianamente e che può riguardare qualsiasi specie animale. Basta solo amore, pazienza e una mente un pò più aperta…
Voglio raccontarvi la mia esperienza personale: la protagonista di questa storia è Brebetta.
Era il primo dicembre del 2009, io stavo poco bene e quel giorno ero seduta sul divano in cucina, vicino alla stufa. Ad un certo punto, mio marito rientra da una commissione che doveva fare e mette sul pavimento un giornale spiegato. Sopra ci appoggia un esserino bianco, sporco di fango, infreddolito e quasi morto dalla fame.
Io ho pensato che avesse investito un gatto perchè le dimensioni erano quelle… invece mi sbagliavo: era un agnellino di 2 giorni.
La mamma lo aveva partorito di notte, in mezzo ad un campo, sotto la pioggia. Il pastore dell’amico di mio marito lo aveva raccolto e dato per morto e si prestava a buttarlo nella fossa comune, per essere “smaltito”. La mamma lo aveva abbandonato perchè non si era alzato subito a succhiare, e pensando che avesse qualcosa di strano, lo aveva abbandonato. Purtroppo è la legge della natura e per quanto possa sembrare crudele, in questo modo “si eliminano” i soggetti deboli per permettere ai soggetti più forti di continuare la razza.
Allora mio marito se lo è fatto dare e lo ha messo in macchina, ha acceso il riscaldamento al massimo e l’agnellino si è ripreso un pochino. Arrivati a casa, gli ho preparato un biberon di latte (ho 4 figli e i biberon in casa non mi mancano). Piano piano si è ripresa, e mi ha “adottata” come sua mamma: non mi lasciava mai, stava sempre vicina a me, io andavo in giro con i biberon di latte nelle tasche. Alle volte mi sono trovata ad allattare la bimba, che all’epoca aveva 6 mesi, con una mano e con l’altra l’agnellina. La facevo dormire in cucina, dove si addormentava in un giaciglio di paglia vicino alla stufa, e io cercavo di sgattaiolare in camera da letto. Quante volte me la sono ritrovata sul letto col suo musino umido che cercava il contatto? Non lo so, forse una notte su 2… L’ho tenuta con me in casa per 5 mesi, allattandola col latte formulato per gli agnelli e facendola andare in giardino per brucare l’erba. Mi seguiva dappertutto, tanto che dovevo andare in bagno con la porta aperta… Poi è venuto il momento di reinserirla nel gregge. Non era il caso di tenerla in casa, perchè le pecore sono animali “da branco” e da soli soffrono. Così, a malincuore, l’abbiamo riportata in campagna, dove ora vive tranquilla anche se il primo periodo per lei non è stato semplice.
Da quell’anno non mangio più la carne di agnello o di porcetto perchè non riesco più. Penso che quell’agnellino sarebbe potuta essere lei e anche se so che non lo è, non riesco e basta. Gli animali provano sentimenti, come noi, e soffrono come soffriamo noi.
Questa è Brebetta ( in sardo “pecora” si dice brebei ).
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