La conoscenza delle altre culture, della loro storia, delle tradizioni e dei riti, del perché delle differenze è la prima strada verso l’accettazione dell’Altro, verso il riconoscimento dell’altro e del diverso come una possibile via di arricchimento. E’ attraverso il confronto con chi è altro da noi che ci identifichiamo, attraverso l’accettazione delle altre realtà possibili acquisiamo maggiore consapevolezza delle nostre scelte, la conoscenza porta alla tolleranza ed alla comprensione o a volte, anche all’identificazione proprio con chi sembra essere così lontano da noi.
In questi ultimi tempi l’intolleranza è troppo spesso alimentata dai ritmi delle migrazioni, dalla situazione economica globale, dalla convivenza in uno spazio vitale troppo stretto. La scoperta delle altre culture e della loro storia può essere un buon antidoto per questi Chapliniani “Tempi Moderni” oltre che una continua occasione per scoprire cose nuove e vecchie, storie e tradizioni di popoli che fanno, o hanno fatto, la storia.
Oggi a questo proposito vorrei raccontarvi una storia, la storia di un popolo di cui non rimane molto se non nei libri e nei racconti, di un popolo i cui tratti somatici emergono ancora nelle linee del viso dei “mezzi sangue”, un popolo che aveva la sua storia e la sua terra e che si è trovato a diventare storia e terra di qualcun’altro, in quel teatro macabro che sono le lotte per i possedimenti e la conquista di un territorio, vecchie e forse, inevitabili, come l’essere umano stesso, di cui evidenziano, con schiacciante durezza, tutta la realtà anche la più difficile: gli Indiani d’America.
Questa popolazione, che sembra derivasse dai Mongoli e dagli Inuit (così ci dice la genetica delle popolazioni) è arrivata in America attraverso lo stretto di Bering, probabilmente durante l’età della pietra e colonizzarono quella terra vasta e selvaggia che è l’america del nord, tra praterie e laghi e fiumi e animali che rispettarono, venerarono ed allevarono. Vivevano in tribù e clan organizzati in maniera piramidale e circolare al tempo stesso, c’era un capo, ma anche un circolo di anziani (abitudine sociale che portavano probabilmente dall’Asia). All’interno dei vari gruppi ci furono delle eccezioni, tribù come quella dei Kwakiutl con abitudini sociali molto simili a quelle dell’antico Egitto, schiavi inclusi; i nemici catturati durante le lotte interne erano trattenuti e trasformati in schiavi, le donne, invece, venivano integrate all’interno del clan.
L’intera struttura reggeva su tre cardini fondamentali: l’agricoltura e la caccia, il commercio, la vita religiosa. Il secondo di questi cardini stabiliva le priorità all’interno della vita relazionale dei vari gruppi, inoltre, chi gestiva l’immagazzinamento del cibo conservato per la comunità otteneva il predominio socio-economico del territorio. Il terzo punto riguardava la religione, collante fondamentale tra i membri della tribù; si trattava di una sorta di animismo sciamanico (lo sciamano aveva un potere simile a quello dei sacerdoti dell’antico Egitto) che prevedeva una linea totemica di riferimento, un’iniziazione spirituale, da ragazzo a uomo, un aspetto visionario purificatore e premonitore.
Molto interessante è l’aspetto connesso all’educazione dei bambini che benché fosse rigida relativamente alle cose da apprendere era al tempo stesso molto liberale, i bambini erano infatti molto ascoltati e non era permesso picchiarli. Erano molto tolleranti anche con l’omosessualità che era vista come un aspetto naturale e si lasciava che ognuno seguisse la sua inclinazione naturale riguardo al mestiere ed alle attività da svolgere all’interno della comunità ed in questo erano molto simili agli aborigeni australiani.
Poi arrivarono i conquistatori, nessuno fu più pacifico, né chi lo era né chi non lo era mai stato, ma questa è un’altra storia e in molti l’hanno già raccontata.