Il disegno libero del bambino, è un mezzo di comunicazione profonda, un linguaggio non verbale in cui egli esprime spontaneamente e liberamente il mondo del suo sentire.
Ogni genitore o adulto che abbia a che fare con bambini sa quanto sia importante per loro disegnare; spesso però si chiede loro di disegnare qualcosa di ben preciso e altrettanto fa poi il bambino con l’adulto, osservandolo mentre traccia semplici e spesso stilizzate linee di contorno di forme, omini sorridenti, macchine, treni etc.
Oppure ancora, si disegna una forma, o gli si sottopone qualche apposito libricino, e si chiede al bambino di colorare il suo interno, magari “con il giusto colore”, finendo spesso in battibecchi insensati se le cose non sono come ce le aspettiamo.
Se vogliamo rispettare l’esigenza profonda del bambino di disegnare, ovvero di mettere in atto la sua prima e più primitiva forma creatrice, siamo però in questo modo molto lontani da ciò che possa essere il suo bisogno.
Molto prima della rappresentazione, sul foglio appaiono tratti che non si riferiscono ad oggetti ma a ritmi e movimenti interiori che lentamente fluiscono, concentrandosi sempre più in un linguaggio simbolico.
Lo “scarabocchiare” (termine che personalmente non amo affatto perché nel senso comune direziona erroneamente verso qualcosa buttato a casaccio, di poco conto) è un’abilità sviluppata ancora prima di imparare a parlare, intuitiva e ricca di significati precisi a noi spesso sconosciuti: così, chiediamo al bambino cos’ha disegnato, notando la difficoltà e la mutabilità delle sue diverse risposte.
Comprendere il significato dei disegni ci aiuta a capire e a dare grande importanza al modo in cui il bambino rappresenta il suo mondo interiore ed esteriore, ben lontano dalle nostre concettualizzazioni, imparando a non interrompere né interferire in questo delicato processo.
È a partire dallo scarabocchio che il bambino comincia a costruire la sua comunicazione attraverso il linguaggio scritto; per farlo, deve aver raggiunto un certo grado di maturazione del sistema nervoso e di coordinazione dei movimenti che portino al gesto grafico, che avvengono intorno ai 20 mesi.
L’intensità di questo processo creativo si esprime in ampie curve, percorsi intricati che si esauriscono in colpi di punta e angoli, spesso uscendo dal foglio, alternando leggerezza a pesantezza del tratto, che ricordano le traiettorie dei pianeti, il movimento delle correnti, i processi cosmici che portano alla formazione della materia.
Possiamo addirittura trovare paralleli con le più primitive grafiche rupestri: infatti, secondo la visione di Rudolf Steiner, ognuno di noi nel suo cammino di sviluppo, percorre le stesse tappe evolutive compiute dall’umanità durante le varie ere.
Il “gomitolo di vortici” e la “croce primigenia”, la curva e la retta sono i movimenti principali delle creazioni che man mano dal caos tendono a trovare un loro punto di centro, fino a portare alla spirale e alla direzione più orientata al vertcale/orizzontale della croce con un movimento più controllato fino al terzo anno (sempre che non ci siano intromissioni esterne o particolari altre condizioni), quando il bambino esce dalla tipica “fase oppositiva”, sperimentando ora il dentro e il fuori, il sé (io) e l’altro.
In questo periodo possiamo notare l’intensità e la definizione del gesto del bambino che chiude i cerchi e disegna croci, cercando di porre il tutto in un nuovo equilibrio grafico che, ancora, richiama quello che sta sperimentando interiormente nel fisico e nell’anima.
Spesso, ci accorgeremo di grandiosi progressi da una fase all’altra in uscita di una febbre o di una malattia dell’infanzia: ciò a testimoniare ulteriormente quanto esse siano propedeutiche alla crescita del bambino.
Dal terzo anno, i gesti dominanti, che si esprimerà in diverse varianti, sono l’estensione della croce ad una “stella”, aggiungendo rette che passino dal suo centro, e “la ruota”, che vede inserita la croce in un cerchio chiuso.
Da notare come questo tratto, che esprime la forma dell’io, non arriva comunque prima di questa età, pur se spesso oggi i bambini indicano se stessi con ”io” molto prima dei tre anni: ciò a significare che è un bagliore, spesso sollecitato da parecchi sovrastimoli, ma non un passaggio evolutivo ancora compiuto.
Dal quarto anno, notiamo un movimento che dal centro e dall’interno vanno verso l’esterno, uscendo anche dai limiti della circonferenza; appaiono quadrati e rettangoli, oltre al cerchio, derivanti da espressioni grafiche tipo “scale” e “cancelli”, che riportano alla percezione dello sviluppo vertebrale e della dentizione.
Solo verso i 5 anni sentiamo davvero la spinta verso la descrizione illustrativa che lascia sempre più a margine questa espressione grafica; arriva il triangolo.
Bibliografia: Michaela Strauss – “Il Linguaggio degli Scarabocchi” – Filadelfia Editore (da cui è tratta anche l’immagine sopra)
Sarah Catalano
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