Ottenere prodotti freschi, sani e genuini, senza impiegare sostanze chimiche di sintesi per la fertilizzazione e la difesa dai parassiti e dalla erbe infestanti. Sono questi i fondamenti dell’orticoltura biologica, per la quale è della massima importanza il mantenimento e l’incremento della sostanza organica nel suolo, quella che sostiene la biomassa vivente (batteri, funghi, protozoi, alghe ecc.) e assicura l’equilibrata nutrizione delle piante, proprio grazie alla mineralizzazione operata di continuo dai microrganismi.
I processi biologici riguardanti la sostanza organica si svolgono nei primi 20 cm di suolo ricco di aria. Ecco perché le tecniche agrobiologiche puntano sugli interventi superficiali di lavorazione del terreno, quali l’erpicatura e la vangatura leggera, sconsigliando o prevedendo un impiego limitato dell’aratura e di tutte le lavorazioni meccaniche profonde. Tra l’altro, le colture orticole offrono risposte particolarmente positive alla corretta gestione agronomica del suolo in funzione della sostanza organica.
Cosa possiamo fare quindi per mantenere e migliorare il suo livello nel suolo, al fine di aumentare la fertilità del terreno? Semplice, basta impiegare colture da sovescio e letame compostato arricchito e attivato con preparati di origine naturale, nonché ricorrere a rotazioni con piante di diversa famiglia botanica e apparati radicali di varie caratteristiche.
Nell’orticoltura biologica l’impiego dei fertilizzanti è in gran parte finalizzato all’alimentazione e attivazione dei microrganismi, più che alla nutrizione diretta delle piante. In virtù di tale concezione, si predilige quindi l’impiego di sostanze organiche di origine vegetale o miste, conferite al terreno direttamente in forma di compost, ammendanti e concimi organici, oppure indirettamente mediante i sovesci.
Il letame è ottenuto dalla miscelazione dei materiali di lettiera (paglia, stocchi mais, trucioli di legno ecc.) con gli escrementi e le urine degli animali allevati. Non deve essere somministrato fresco al terreno, ma solo dopo aver subito un processo di maturazione in cumulo di tre-quattro mesi, definito “compostaggio”. Un letame maturo ha un odore non sgradevole ed è piuttosto umido ma non saturo d’acqua. Nella somministrazione è bene non superare una quantità di 250-300 q.li/Ha.
Le piante da orto necessitano di un suolo permeabile, fertile e senza umidità stagnante. Poiché le radici degli ortaggi e degli alberi da frutto non superano i 40-60 cm, è proprio questo strato di terreno superficiale e ricco di microrganismi che interessa l’orticoltura biologica. Analizzarne composizione e caratteristiche è la chiave per ottenere ottimi risultati agronomici.
Per quanto riguarda la tessitura, i terreni leggeri (sabbiosi o ghiaiosi) e pesanti (argillosi e compatti) possono esser migliorati con tecniche agronomiche, incorporandovi annualmente il materiale organico di cui si dispone, oltre a torba e terriccio da giardino. Tale operazione deve esser effettuata a fine inverno-inizio primavera per i primi, in autunno-inverno per i secondi. Un altro fattore che è possibile correggere grazie all’utilizzo di ammendanti è il pH, che definisce il grado di acidità o alcalinità di un terreno. In quelli acidi, ad esempio, è bene intervenire con fertilizzanti contenenti calcio.
In ogni caso, il fattore determinate per lo sviluppo delle piante è dato dalla presenza nel terreno di macroelementi (azoto, fosforo e potassio) e microelementi (ferro, zinco, manganese, boro ecc.). Il letame fornisce sicuramente azoto, ma non necessariamente fosforo e potassio. Per sopperire a tale inconveniente, l’orticoltura biologica consente l’utilizzo di fertilizzanti organo-minerali, come ad esempio quelli composti da azoto organico addizionato con fosforo e potassio ottenuti da sali naturali (es. solfato potassico). In generale, la concimazione ottimale, ossia quella che apporta gli elementi nutritivi essenziali per lo sviluppo delle piante, prevede un rapporto quantitativo tra azoto (N), fosforo (P) e potassio (K) di 6:5:13.
Vi sono tre differenti tipi di concimazione: d’impianto, di fondo e di copertura. La prima si effettua all’impianto o alla semina della coltura, utilizzando un fertilizzante naturale. La seconda viene fatta in autunno-inverno in occasione della lavorazione del terreno, mediante l’apporto di sostanza organica e la costituzione di una scorta di elementi nutritivi poco mobili come fosforo e potassio (nei terreni sfruttati intensivamente si distribuiscono 3-5 Kg/m2 di letame maturo o 5 l/ m2 di terriccio concimato o torba bionda). La terza, infine, si rende necessaria durante la fase vegetativa e riproduttiva della pianta, per sopperire all’aumentata esigenza di sostanze nutritive.
Per reintegrare le sostanze organiche e restituire fertilità al terreno, l’orticoltura biologica prevede anche il ricorso alla pratica del sovescio, che consiste nel seminare alcune piante erbacee (prevalentemente leguminose o graminacee), coltivate per esser trinciate (a fine fioritura) e interrate, dopo alcuni giorni di essicazione sulla superficie del terreno.
Eccoci quindi alla semina, che può esser fatta direttamente sul campo o in semenzaio con successivo trapianto. Per la prima è necessaria un’accurata preparazione del letto di semina. Pur essendo meno costosa, è però soggetta a più errori e richiede un maggior impegno per il contenimento delle infestanti. Per tali motivi gli orticoltori biologici tendono a preferire la seconda, che consente un anticipo delle produzioni e una minor competizione da parte delle erbacce.
La semina in semenzaio si effettua generalmente in vaschette di terracotta ricoperte da un vetro. Al loro interno si deve mantenere la giusta temperatura e umidità. Per il perfetto substrato, è consigliabile utilizzare terra da giardino e sabbia grezza in parti uguali, in modo da ottenere un terriccio nutriente e drenante. I semi si distribuiscono a spaglio o in buchette o in file parallele, e vengono subito interrati a una profondità proporzionale alle loro dimensioni. Dopo aver bagnato abbondantemente, quando hanno raggiunto una certa dimensione le piantine vanno trapiantate per evitare che diventino troppo alte e chiare di colore.
Il trapianto può avvenire mettendo definitivamente a dimora nel terreno la piantina a radice nuda, o col loro pane di terra. Quest’ultimo metodo è decisamente più sicuro, sia per le piantine fatte in casa, che per quelle comprate già in vasetto. L’operazione di trasferimento in campo deve essere eseguita nelle ore pomeridiane, ed è buona norma innaffiare subito il piede della pianta. Di grande importanza è la scelta delle distanze d’impianto: l’infittimento eccessivo limita la circolazione dell’aria e favorisce lo sviluppo di malattie fungine e batteriche. Per la giusta distanza sulla fila e tra le file richiesta da ogni varietà orticola, vi consigliamo di consultare i manuali di orticoltura.
Nell’orto biologico la rimozione delle erbe infestanti viene effettuata con lo strappo manuale o con piccoli attrezzi meccanici, con l’impiego di macerati, decotti, infusi ed estratti naturali, o col metodo della pacciamatura. Quest’ultima è una pratica che serve anche a conservare l’umidità nel suolo, evitare l’erosione, nonché mantenere una temperatura costante e più elevata al livello delle radici superficiali, durante i mesi più freddi. Si effettua ricoprendo il terreno con uno strato di vari materiali (paglia, segature, foglie ecc.) o con un telo di cellulosa e amido o con dei film plastici neri biodegradabili in polietilene.
Il vostro orto bio avrà bisogno anche di tanta acqua. Il sistema d’irrigazione più semplice è quello a pioggia, che si effettua con una lancia a mano o con irrigatori fissi a settore, oscillanti o a girandola. Più complesso e meno sprecone è invece il sistema goccia a goccia, che conferisce il giusto quantitativo di acqua alla base delle piante, senza bagnare le foglie. Per la sua realizzazione occorre impiegare dei tubi appositi, a cui vengono applicati dei gocciolatoi in corrispondenza delle piante.
Eccoci infine a una tecnica fondamentale dell’orticoltura biologica, la rotazione delle colture. Un corretto avvicendamento consente di utilizzare in modo razionale il terreno, rispettando l’equilibrio dell’ambiente. La rotazione riduce l’incidenza di malattie e parassiti e mantiene costante il tasso di sostanza organica nel suolo, facendo seguire una coltura miglioratrice a una depauperante. In funzione del loro fabbisogno nutritivo complessivo, gli ortaggi vengono distinti in deboli (es. fagioli), medi (es. carote) e forti consumatori (es. cavolo). La loro contemporanea presenza viene garantita mediante la suddivisione del terreno in aiuole o settori, dove le colture si succedono nell’ordine di rotazione previsto.
Le rotazioni devono essere almeno biennali, ma è più opportuno siano triennali, quadriennali e oltre. Un possibile schema di successione quadriennale, che tiene conto dell’organo utilizzato dalle colture e del livello di nutrienti prelevato dal terreno, prevede ad esempio: 1) piante azoto-fissatrici (fave, piselli ecc.); 2) piante da frutto (pomodori, melanzane, zucchine ecc.); 3) piante da foglia (spinaci, cavoli, insalate ecc.); 4) piante da organi sotterranei (patate, barbabietole, finocchi, cipolle ecc.).
Un altro esempio di rotazione, nel caso di divisione dell’orto in sei settori, potrebbe essere il seguente: 1° anno piante crucifere, 2° leguminose, 3° composite, 4° liliacee, 5° cucurbitacee, 6° solanacee.
A questo punto, non perdete ulteriore tempo e datevi all’orticoltura biologica!
Marco Grilli