Solitudine: dal dizionario ” Esclusione da ogni rapporto di presenza o vicinanza altrui desiderato o ricercato come motivo di pace o di raccolta intimità, oppure sofferto in conseguenza di una totale mancanza d’affetti, di sostegno e di conforto”.
Dunque essa può essere pace o sofferenza. Anche lei ci mostra due lati della stessa medaglia.
In questo momento siamo chiamati alla solitudine. Allo stare soli, al ritirarci nelle nostre case e nei nostri pensieri, nelle nostre emozioni. In un momento di caos, di ribaltamento del sistema, ci è chiesto di non agire. Di rimanere fermi, nell’attesa. Attendere è difficile. Pensiamo ai bambini nell’attesa del Natale. Stare a guardare i pacchi sotto l’albero senza poterli aprire (anche se sai che non sono i tuoi, sei comunque invogliato ad aprirli) può sembrare una vera tortura.
In un momento in cui vorremmo stare tutti vicini ed abbracciarci per la paura e la confusione, ci viene detto di stare soli. Sembra un paradosso. L’essere umano, animale sociale, che vive in “branco”, ora è chiamato a restare con sè stesso. Forse questa è un’occasione per conoscerci davvero. Per capire come siamo fatti dentro, per ascoltarci e sentirci. Per spegnere il rumore dell’altro e ascoltare la nostra melodia.
Il restare fermi e soli è sempre stata considerata una punizione: pensiamo per esempio a quando si infligge ai bambini di rimanere fermi nell’angolo, con la testa volta al muro, in silenzio. A pensare si dice. Gli adulti la vedevano come un’opportunità di crescita e comprensione, di conoscenza di sè. Bene, ora è il tempo di mostrare ai bambini ciò che predichiamo. Rimaniamo, nel qui ed ora, dentro noi stessi e impariamo la lezione. Cogliamo l’opportunità di rimanere fermi e in silenzio, per comprendere ciò che la vita ci vuole dire.
In tanti anni (chi più chi meno) non ci è mai stata offerta l’occasione di fermarci. Di ascoltarci dentro. Impegnati in mille faccende, sempre pronti a rincorrere qualcosa o qualcuno, con l’orologio al polso e l’agenda piena. Era questa la nostra vita. A forza di correre non si vedeva più l’altro, ma nemmeno noi stessi. Si andava, senza domandarsi nulla. Ci è data ora l’opportunità di domandarci tutto. Dove sto andando? Perchè ci sto andando? Come mi sento? Lo voglio fare? Sono felice? Cosa desidero?Chi sono?
Rimanere in attesa provoca sicuramente rabbia, paura, tristezza e frustrazione. Avere limitata la libertà di movimento è veramente frustrante per noi che viviamo nell’epoca in cui si può andare ovunque, in tempi anche relativamente brevi. Forse però se guardiamo solo questo lato della medaglia ci perdiamo quello migliore. Ci lasciamo abbagliare da quello che luccica di più, da quello più semplice da intuire, ma non ci concediamo di vedere l’altro lato della paura che è il coraggio, l’altra faccia della tristezza che è la gioia, la calma invece della rabbia e la soddisfazione al posto della frustrazione.
Questo tempo ha portato tutto e il contrario di tutto. Questa solitudine tanto richiesta in questi giorni possiamo scegliere noi come guardarla. Se con tristezza e rassegnazione o se con gratitudine e opportunità. É un tempo lento fatto di calma, di attesa, di lievitazione,di riposo per mente e corpo, di riflessioni sulla vita, sul mondo, su se stessi; di letture, di film, di coccole sul divano, di cibo curato, amato, di sogni ad occhi aperti, di speranze riposte, di tante domande e qualche risposta;di videochiamate, di musica sui balconi, di ringraziamenti a chi mette a rischio la propria salute per aiutare gli altri, di flash mob per sentirsi tutti più vicini. Ora che non siamo più di corsa, possiamo guardarci negli occhi.
Il rimanere chiusi, nelle nostre case, ci permette anche di sentirci protetti. Quando c’è il temporale, fulmini e tuoni invadono il cielo, il primo pensiero è quello di rintanarsi dentro casa. La tana, il grembo. Ci stanno dicendo di rimanere protetti, di chiuderci per non incontrare il pericolo. Ci stanno aiutando a proteggerci dal temporale.
Oggi è una giornata grigia, cupa. Il vento forte fa smuovere gli alberi, ciò che è fermo da sempre ora si muove. Sembra strano, eppure quando si ha tempo si osservano cose che non si sarebbero viste mai, se non ci fosse stato questo dono. E mentre osservo l’albero che si lascia cullare dal vento nonostante questo possa spezzarne i rami, vedo un uccellino, che tutto solo si appiglia sulla chioma dell’albero, proprio sulla cima e così, fiero e coraggioso, sfida il vento. Mi ha ricordato il momento che stiamo vivendo. Ognuno di noi, nella sua solitudine, sfida il vento. Medici e infermieri sulla cima dell’albero, proprio come quell’uccellino, coraggiosi e vigili, portano avanti la missione per cui sono stati chiamati. Noi possiamo essere come l’albero, che resta fermo, si lascia cullare dal vento, nella fiducia che non gli spezzerà i rami.
Buona solitudine a tutti!
Emanuela Griso