Non ci è dato conoscere la profondità delle ferite delle persone che incontriamo ogni giorno perché non si vedono in superficie e non è raro scoprire un passato doloroso e sofferto nella vita delle persone più solari che conosciamo. Grandi e piccoli drammi si accoccolano intorno al cuore e lo rendono più pesante ma alcuni riescono a non lasciarsi intralciare il cammino da questi pesi e si rimboccano le maniche per guarire loro stessi e andare oltre il segno delle cicatrici che si portavano dentro, accogliendo la vita per ciò che è: fatta di belle sorprese, piccole e grandi sfide.
Il coraggio di lasciare andare il dolore per darsi una seconda chance
Ci vuole coraggio per portare a termine l’avventura che questi grandi e piccoli eroi, che possiamo incontrare ogni giorno in borghese, si sono ritrovati ad affrontare senza lasciarsi andare alla disperazione, ma cosa hanno fatto per rinascere dalle loro ceneri, per andare oltre il dolore che ben spesso si sono ritrovati sulle spalle senza capirne il motivo?
Se c’è qualcosa che li accomuna tutti è questo: si sono tuffati nel cuore del dolore, lo hanno riconosciuto, accolto e guarito, e da questo tuffo iniziatico nel buio, sono riemersi rinati, nuovi, pronti a lasciarsi alle spalle un passato doloroso per avanzare nella vita con un bagaglio di esperienze e conoscenza che hanno trasformato in dono, o almeno in un trampolino di lancio. Da loro possiamo imparare questa lezione preziosa: il dolore non è una colpa ma la guarigione è una nostra responsabilità.
La guarigione è un processo che parte da dentro
Chi ha avuto un’infanzia difficile lo sa bene: si può portare molto a lungo la traccia dei drammi del proprio passato e non basta sapere chi ha la colpa delle nostre ferite per far sparire il dolore. È altrettanto vero che una persona che può averci fatto del male molto probabilmente ha sofferto ed è stata ferita da qualcun altro a sua volta, e così via; ma risalire all’origine dei nostri mali fino ad Adamo ed Eva per trovare un colpevole non ci aiuterà a muovere i dovuti passi verso la guarigione delle nostre ferite. Tra l’altro spesso manca una distinzione netta tra vittima e carnefice perché chi ha subito un torto molto spesso rimane legato interiormente al suo dramma personale e, senza rendersene conto, da oppresso diventa oppressore; ecco perché non basta capire contro chi puntare il dito per sentirsi di colpo guarito.
Pensare di poter guarire nello scovare il colpevole del nostro male equivalerebbe a rimettere tra le sue mani il potere di guarirci quando in realtà è stato l’origine del nostro dolore. Congelarsi in un tale pensiero, aspettandosi di essere guariti dalla mano che ci ha fatto del male, ci costringerebbe ad intrattenere un legame di dipendenza con l’altro che non verrebbe mai reciso. Anzi, gli daremo pure infinite opportunità di continuare a farci soffrire aspettando che ci guarisca. È inutile illudersi: non lo farà né direttamente riparando al danno che ha fatto, né indirettamente riconoscendosi colpevole e facendo sparire la traccia del dolore come se nulla fosse.
Le nostre ferite possono guarire solo grazie ad una rimarginazione che si attiva da dentro di noi, e non da un processo esterno. Per esempio, se ti rompi una gamba, non sarà di certo il gesso a ripristinare il tuo osso ma sarà il tuo corpo che riparerà se stesso: il gesso è solo un tutore, un aiuto esterno mentre il vero processo di guarigione parte da dentro. Ecco perché dobbiamo capire che la guarigione è una nostra responsabilità: siamo gli unici a poterci guarire mentre ciò che viene dall’esterno può solo fungere da sostegno (a volte indispensabile, è vero) a questo processo.
La presa di responsabilità attiva il processo di guarigione
Se evitare di creare un legame tossico di dipendenza con chi ci ha ferito è fondamentale per guarire, non basta ad attivare il processo di rimarginazione: manca ancora la presa di responsabilità nei nostri confronti, riconoscendoci il potere che abbiamo sulla nostra vita; quindi quali potrebbero essere i primi passi da compiere in questo senso?
Ciò che può fare la differenza è concedersi un tempo necessario per accoglierci così come siamo, accettare la nostra vulnerabilità e fare amicizia con lei, fare un bilancio obiettivo della nostra situazione evitando di lasciarsi andare a critiche estreme che potrebbero portarci sia al vittimismo, sia ad un giudizio sfrenato su di noi o sugli altri che di certo non ci porterebbe nella direzione della guarigione. Occorrerà quindi considerare la nostra realtà nella sua integrità e riconoscere semplicemente che possa esistere: lottare contro di essa rifiutando di guardare la verità in faccia potrebbe darci lo stesso sollievo di un cerotto applicato su una gamba rotta mentre facciamo finta di essere in grado di correre una maratona anche se non riusciamo a reggerci in piedi.
La guarigione richiede quindi di diventare consapevole di chi siamo nel presente, di ciò che ci siamo trascinati dal passato, di comprendere quali comportamenti hanno alimentato quelle ferite che ci portiamo dietro; la guarigione ci richiede di aprire gli occhi sulle scelte fatte con gli occhi bendati e la testa tra le nuvole, ma soprattutto ci chiede di prendere coscienza della nostra vulnerabilità, di accettarla, di accoglierci così come siamo, con compassione, per poi agire rispettando il nostro essere e agendo per ripristinare in noi un solido e dinamico equilibrio interiore.
Ciò non significa che gli aiuti esterni siano inutili, anzi! Ma possono solo aiutare, sostenere, incentivare un processo che solo noi possiamo attivare.
Bibliografia
Alivia, M., P. Guadagni, and P. Roberti di Sarsina. “La Salute quale responsabilità individuale e sociale: spunti dalla Medicina Antroposofica.” Advanced Therapies-Terapie d’Avanguardia (2014).
Cortassa G., “Non cercare chi ti possa guarire, solo tu hai questo potere”, Panorama (24 ottobre 2012).
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in discipline bio-naturali
www.risorsedellanima.it