Non augurargli mai del male.
Questo non è ciò che sei.
Se ti hanno fatto soffrire,
significa che soffrono dentro.
Auguragli la guarigione.
Questo è ciò di cui
hanno bisogno.
— Najwa zebian
Quando si subisce un torto, quando qualcuno si comporta veramente male con noi, vorremo che giustizia venga fatta: con le buone o con le cattive maniere. E quando il torto non viene riparato, ecco che interiormente sale l’istinto della fattucchiera che manderebbe celermente al destinatario qualche cattivo pensiero, con tanto di “fattura”, salvo poi ricordarsi di un vecchio detto popolare:
“Ogni cosa che si fa torna indietro tre volte: tre volte nel bene, tre volte nel male.”
Il rischio di passare dalla ragione al torto
Questo antico detto serve tuttavia a proteggerci dalla voglia di vendicarci, di fare giustizia da soli perché la verità è che per fare giustizia ci vuole giudizio, ed è spesso una qualità che ci manca.
La nostra ragione può essere offuscata dal risentimento o dall’invidia e così dalla parte della ragione rischiamo di passare dalla parte del torto: quella che, accecata dalla sete di vendetta, non andrebbe in cerca della giustizia (che etimologicamente parlando rappresenta la virtù morale per la quale si osserva in sé e negli altri il dovere e il diritto) ma semplicemente si vorrebbe augurare del male, nuocere.
→ Leggi anche: “Rancore: il sentimento subdolo che avvelena i rapporti”
Per questo serve sempre un intervento super-partes in caso di contenzioso: le parti implicate nella controversia non sono idonee a muovere un giudizio obiettivo.
Cosa significa per te? A voler cercare di riparare il torto subito, rischi di omettere degli aspetti importanti della situazione che potrebbero dare al quadro generale tutto un altro significato.
L’origine della cattiveria
Cosa spinge una persona a comportarsi male o danneggiare un’altra persona? Gli esseri umani nascondo con un seme di maligno che germoglia a caso? Da dove nasce la cattiveria?
In linea di massima si potrebbe affermare che la cattiveria ha due genitori: l’ignoranza e la sofferenza.
1. L’ignoranza
Nel suo libro La scienza del male. L’empatia e le origini della crudeltà, Simon Baron-Cohen, professore di Psicopatologia dello Sviluppo del Dipartimento di Psichiatria e Psicologia Sperimentale dell’Università di Cambridge, afferma che la crudeltà nasce dove non c’è empatia e quindi nelle persone che sono incapaci di comprendere a pieno lo stato d’animo degli altri, di provare il loro dolore.
Ecco che questa mancanza di empatia, questo ignorare il sentire dell’altro porta ad atti di cattiveria: il non provare empaticamente parlando il dolore dell’altro mi impedisce di rendermi conto della gravità delle mie azioni, perché non lo provo io in prima persona e quindi non fa parte del mio mondo.
L’empatia è forse ciò che ci rende realmente umani, nel senso più nobile del termine, è come una porta che si apre sul mondo degli altri, è ciò che ci permette di camminare nei loro passi, di capirli in profondità, di toccare il cuore delle persone.
Chi non conosce l’empatia è una persona sola: sola al mondo e nel suo mondo.
Se fossimo macchine non farebbe differenza, ma siamo persone in carne e ossa, fatte di emozioni, sogni, speranze, che hanno bisogno di contatto, un contatto umano reale ed autentico per vivere.
E se le persone che fanno del male agli altri non riescono ad avere questo contatto, non riescono a toccare né cuore né anima viva, azzarderei quasi a dire che i più sfortunati sono proprio loro: sono come degli esseri dormienti prigionieri dei loro incubi, con l’aggravante che nessuno verrà mai a svegliarli.
→Leggi anche: “Il museo dell’Empatia. Per mettersi nei panni degli altri”
2. La sofferenza
Molti agiscono in malo modo per paura: paura di perdere qualcosa al quale tengono oppure paura di ricevere qualcosa di brutto e/o doloroso che andrebbe a scombussolare il loro equilibrio interiore.
Questa dinamica rappresenta in realtà la struttura della punizione, del castigo: la punizione positiva in cui alla situazione iniziale si aggiunge qualcosa di indesiderato; la punizione negativa in cui si toglie una qualche fonte di sentimento positivo o piacere.
Dietro ad alcuni atti ingiusti si nasconde quindi l’antica paura del castigo e della sofferenza che ne deriva, così quell’atto ingiusto viene percepito, per assurdo, come un tentativo di non subire una qualche pena.
La mente umana è molto complicata e astrusa: nella speranza di evitare di subire un danno (spesso fantasioso) una persona è in grado di compierne uno reale nei confronti di altre persone.
Cosa puoi fare se qualcuno ti fa soffrire
Per prima cosa, nei casi in cui qualcuno si è comportato male con te, fai sentire le tue ragioni, non rimanere zitto/a di fronte ad un torto; questo ti aiuterà in un primo tempo ad ostacolare la formazione di una bolla di rancore che potrebbe rovinare le tue notti perché si sa: è sempre prima di dormire che si pensa a ciò che si avrebbe voluto dire a qualcuno.
Poi, ti suggerisco di fare un passo indietro e di guardare la situazione da una visuale più ampia, questo serve esclusivamente a te: a osservare i fatti con più obiettività, a capire maggiormente come funziona l’essere umano ma sopratutto ti aiuterà a sviluppare quel tanto di esperienza che basta per riconoscere la malaparata prima di subirne i danni.
Fai un passo indietro e prova a capire le motivazioni che hanno spinto l’altro a comportarsi così con te; non significa che tu debba cancellare dalla tua memoria ciò che ti ha fatto passare, ma semplicemente ti permetterà di contestualizzare le sue azioni. Tu ora, da persona empatica, stai usando come strumento a tuo favore ciò che di solito ti fa sentire male.
Ora puoi usare la tua empatia per vedere quella persona come un essere umano con le sue mancanze, paure, sofferenze, e non più come un nemico.
Non c’è bisogno di augurare del male a nessuno: chi ti ha fatto del male in realtà è già ben incasinato di suo.
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e shamanic storyteller
www.risorsedellanima.it