Il rancore è un po’ come il vino: se tenuto nel posto più buio e profondo di noi può durare per molti, molti anni. Alcuni lo tengono lì, come una bottiglia pregiata da stappare al momento opportuno: quello della caduta del “nemico”, di colui che ci ha fatto un torto, vero o immaginario che sia, salvo poi rendersi conto che in realtà sa di aceto.
“Chi troppo si risente, spesso si ripente.”
— Detto popolare
Bere veleno tentando di nuocere all’altro
Il rancore è un misto di rabbia e frustrazione, che emerge quando sentiamo di essere state vittime di ingiustizia o di umiliazione. È qualcosa che si tende a nascondere ma che emerge involontariamente attraverso il sarcasmo, le “battutine” o una palese tendenza a far finta di nulla. Anche il rancore fa parte dei sentimenti velenosi: quelli che ci teniamo dentro sperando di ferire gli altri senza accorgersi che i primi a star male, siamo noi.
“Trattenere la rabbia e il rancore è come tenere in mano un carbone ardente con l’intento di gettarlo a qualcun altro: sei tu quello che viene bruciato.”
— Buddha
Quando scoppia la pentola a pressione
Il rancore è una rabbia con un’eccellente memoria che rischia di riversarsi come un torrente di lava che brucerà tutto sul suo passaggio appena l’occasione si presenterà. Il migliore esempio è la classica litigata di coppia in cui, dopo un evento tutto sommato anodino – la goccia che fa traboccare il vaso – si sussegue una lista interminabile di torti subiti: dal più recente al più vecchio, passando dai calzini sotto il letto al pranzo di famiglia del Natale 1997 in cui la zia aveva fatto un’osservazione ben poco carina senza che il partner intervenisse.
La parola “rancore” deriva dal latino rancorem, che significa “acido”, “rancido”. L’etimologia spiega molto bene la dinamica del rancore: in poco tempo, riesce a viziare ciò che c’è di buono intorno a lui: come una mela marcia. Infatti è in grado di guastare ogni buon ricordo che possiamo avere, ogni gentilezza ricevuta, ogni favore.
“Gli uomini, se qualcuno gli fa un brutto tiro, lo scrivono nel marmo; ma se qualcuno gli fa un favore, lo scrivono sulla sabbia.”
— Thomas Moore
Imparare a svuotare il sacco
Il problema sorge quando non svuotiamo il nostro sacco, quando accumuliamo risentimento e rancore senza riuscire a smaltirli, senza esprimere alla persona interessata ciò che proviamo e limitandoci ad aspettare il momento opportuno per restituire “il favore”.
Perché preferiamo tenerci dentro tutto quel risentimento invece di liberarcene? Diciamo che il rancore si mescola spesso all’invidia e quella si sa, non si confessa facilmente: sarebbe come ammettere che l’altro possiede ciò che vorremo noi, ammettendo di sentirci inferiore. Tuttavia, se vogliamo evitare di avvelenarci, dobbiamo imparare a svuotare il sacco: la tentazione di vendicarsi, di farsi giustizia da sé è certamente un sentimento istintivo ben radicato in noi ma è anche vero che non porta da nessuna parte. La legge del taglione non ripara il torto subito: non si cura il dolore personale col dolore altrui. Oltre a peggiorare il nostro stato – vedendo che la vendetta non è bastata a farci stare meglio saremo tentati di rincarare la “punizione” –, daremo inizio ad un circolo vizioso in cui vittima e carnefice si scambiano i ruoli a turno.
“Quando si porta un rancore, si vuole che il dolore di qualcun altro rifletta il livello del nostro ma i due dolori raramente si incontrano.”
— Steve Maraboli
Il girone infernale del rancore e della vendetta
“Non esiste rancore più implacabile di quello che portiamo verso chi, pur non volendolo, ci ha posto nella condizione di manifestare i lati negativi del nostro carattere proprio nel rapporto con lui, oppure ci ha dato per primo motivo di scoprirli.”
— Arthur Schnitzler
È molto difficile capire la ragione a monte di ciò che ci ha fatto soffrire in quanto le cause possono essere molteplici: fraintendimenti, inattenzioni, a volte rabbia o vendetta di cui non sapremo mai il motivo.
Immagina di esserti appena rotto la mano. Come reagirai se qualcuno tenta di salutarti stringendotela? Gli urlerai contro: cosa che non faresti in tempi normali. Dentro di noi funziona allo stesso modo: se qualcosa o qualcuno tocca un nostro punto dolente, possiamo mostrare un comportamento ostile, aggressivo e a volte vendicativo. Il malcapitato, ignaro di aver toccato un punto dolente per sua natura interiore – se riuscissimo a mettere una garza su ogni nostra sofferenza emotiva o psicologica, vivremo in mezzo a mummie –, si sente vittima di un’ingiustizia e si ritrova di fronte ad un bivio: continuare il circolo vizioso oppure romperlo.
Rompere il circolo vizioso: gli antidoti al rancore
“In una seppur motivata ostilità non è proficuo il rancore nascosto, ma un aperto chiarimento; perché produce l’emozione necessaria a chiarire i fatti, separa il giusto da quello ingiusto, e fa vedere quello che c’è da vedere.”
— Richard Wagner
Serbare rancore nell’idea di farsi giustizia in futuro è deleterio per diversi motivi: basiamo il rancore su un’idea di giustizia primitiva, confondendo il riparare un torto col ripagarlo e la lezione con la punizione, e sull’idea che la vendetta basterà ad appagarci quando, per i motivi spiegati sopra, sarà impossibile.
Per eliminare i vecchi rancori, dobbiamo considerarli come delle ferite vere e proprie. Cosa facciamo quando ci facciamo male? Proteggiamo la ferita e la curiamo.
Il distacco emotivo: come evitare di soffrire
La sofferenza è legata all’attaccamento, all’identificazione con ciò che crediamo di essere e/o avere. Più c’è attaccamento e più alto è il rischio di soffrire. Ti faccio un esempio: se una persona rovescia un bicchiere di vino rosso sulla tovaglia che hai comprato a pochi spiccioli al mercato, è probabile che non ne farai una tragedia e che liquiderai l’accaduto con una buona dose di detersivo; ora immagina che la stessa persona versi lo stesso bicchiere di vino rosso sulla tovaglia che hai ereditata dalla trisnonna… È sempre una tovaglia dopotutto allora perché la tua reazione sarà diversa? Perché c’è attaccamento. L’attaccamento rende vulnerabile a tal punto che basta un inezia per sentirsi feriti. Per evitare di soffrire, bisogna riuscire a re-inquadrare la situazione nel modo più obiettivo possibile. Non è facile ma funziona.
Il distacco emotivo è quella capacità di non farsi travolgere emotivamente dagli eventi e consiste nel rimettere noi stessi al centro della nostra vita, vivere nel presente senza attaccamenti morbosi a persone, oggetti o idee. Non si possono far vibrare le nostre corde sensibili e dolenti se non ce ne sono.
Il perdono: l’esempio del kintsugi, l’arte di riparare con l’oro
Perdonare non significa dimenticare ma riuscire a vedere oltre il danno. Dimenticare significa cancellare l’evento dalla nostra memoria senza trovare una reale risoluzione, perdonare invece significa riuscire a trasformarlo, rendendo la ferita un’occasione di crescita interiore.
Il perdono è simile alla meravigliosa arte del kintsugi: l’arte giapponese che consiste nel riparare oggetti rotti con metalli preziosi. Questa pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore. Il tuo perdono sarà come quell’oro che riesce a mettere assieme i pezzi rotti e a rendere il tutto più prezioso di quello che era all’origine. Per arrivarci dovrai allargare lo sguardo, uscire dagli schemi e vedere la lezione che quel dolore può portarti: su cosa pone la tua attenzione, cosa ti sta mostrando di te e dei tuoi punti dolenti invisibili? Come puoi rendere ancora più prezioso ciò che è stato rotto?
Questa tecnica potrebbe portarti su una strada totalmente inaspettata: magari vedrai in quella macchia di vino che non vuole andarsene dalla tovaglia della tua trisnonna un fiore, una rosa; e chi sa, potresti decidere di intingere il pennello in quel vino e dipingere fiori, paesaggi, montagne, un tramonto, rendendo quella tovaglia ancora più vivace, unica e originale aggiungendo le tue impronte a quelle della tua trisnonna e facendo di quella tovaglia un’opera trans-generazionale ; e nella stessa occasione eviterai che quella buona bottiglia di vino rosso si trasformi in aceto.
Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice & shamanic storyteller
www.risorsedellanima.it