Il termine animismo, da anima, si riferisce alle religioni e ai culti primordiali che riconoscono la presenza di un’anima o di un principio vitale nella realtà materiale, inclusi oggetti o elementi naturali. A parlarne per la prima volta in questi termini fu l’antropologo britannico Edward Burnett Taylor nel 1871, sebbene prima di lui ne avesse trattato anche lo scienziato Georg Ernst Stahl, riconoscendo nell’anima il principio vitale responsabile dello sviluppo organico.
Taylor ne fornisce una spiegazione di tipo antropologico indicando una religione che investe di qualità soprannaturali e spirituali oggetti, piante, agenti atmosferici, elementi, alimenti considerandoli vivi. Gli spiriti, o anime, possono trasmigrare da un corpo all’altro e sarebbero all’origine della vita umana. Ma il principio vitale, o anima, per Taylor, non è altro che un alter ego spirituale dell’uomo, che opera similmente a un bambino che tratta i propri giocattoli come esseri viventi. Un modo per spiegarsi l’origine del sonno, dei sogni e della morte.
In tale ottica, secondo Taylor, l’animismo rappresenta lo stadio primitivo delle religioni attuali, che rispetto ad esso risultano più evolute in quanto maggiormente strutturate e fondate sulla fede in un unico Dio. Questa visione, che rispecchia perlomeno in parte quella di Sigmund Freud in “Totem e tabù”, dove l’animismo viene descritto come fase primitiva dello sviluppo sociale, è stata pesantemente criticata nel corso del tempo poiché relega l’animismo a un ruolo secondario e involuto rispetto alle grandi religioni monoteiste. Uno degli antropologi che si oppose alla teoria di Taylor fu Robert R. Maretti, secondo il quale l’animismo di cui parlava il collega era una forma arcaica dello stesso, definita da lui “animatismo”, diversa dall’animismo più evoluto che non attribuisce vita a tutti gli oggetti ma solo a parte di essi.
Comunque sia, l’animismo si è diffuso in moltissime parti del mondo, dall’Africa all’America Latina, dal Borneo al Giappone, contraddistinguendosi per una visione in un certo senso olistica della realtà. Tra gli elementi comuni si annoverano la presenza di mediatori con il mondo spirituale, il culto degli spiriti e degli antenati, l’utilizzo di totem, i riti d’iniziazione e quelli funebri.
L’anismo secondo la tradizione junghiana
Una delle letture dell’animismo più interessanti è stata quella ispirata dalla tradizione junghiana secondo la quale, esso non è “l’ingenuo prodotto di un pensiero pre-logico… nasce piuttosto da una psicologia tutta incentrata sugli aspetti soggettivi della psiche (sensazione e intuizione). Da tale concezione si sarebbe creato un sistema culturale basato sulla proiezione dell’inconscio sulla Natura, ad esempio su luoghi sacri, o identificandosi con lo spirito degli animali totemici, recuperando così competenze ancestrali; ci si confronta con l’anima di defunti o di nemici per affrontare e superare i propri conflitti interni.”
Secondo l’approccio junghiano, nell’animismo l’inconscio viene proiettato sulla Natura o sui totem. Antoine Fratini si spinge oltre affermando che i simboli universali dell’inconscio hanno sempre a che fare con la natura, basti pensare alla montagna, al bosco, al fiume ma anche ai diversi animali. Ciò dimostrerebbe che esiste effettivamente un inconscio animistico che riflette, nel singolo individuo, l’animismo originario. In tale ottica la Natura è un prolungamento della psiche e quindi, agire negativamente su di essa sia in termini simbolici che pratici, ha ripercussioni negative sull’anima di ognuno. Il motivo per cui, probabilmente, l’animismo nel corso del tempo ha perso mordente è legato allo sviluppo della scienza che, non potendo spiegare ciò che trascende la materia, ha progressivamente etichettato come “superstizioso” qualunque credo inspiegabile secondo i suoi parametri.
Animismo e magia
L’animismo ha in comune parecchi aspetti con le pratiche magiche occidentali, in cui l’azione sul simbolo, nell’ambito dei rituali, si ritiene abbia la stessa efficacia dell’azione esercitata sulla persona cui un determinato oggetto appartiene. Ovvero se si pratica un rituale su un oggetto appartenente al soggetto destinatario dell’atto magico, il rituale si ripercuote sul soggetto stesso. L’efficacia dipende dal livello di partecipazione, cioè quanto più si crede al rituale, tanto maggiore è la probabilità che funzioni. Ma allora perché l’atto magico a volte fallisce? Perché nel pensiero di tipo magico, come in quello animista, vige l’impermeabilità all’esperienza, come suggerisce il sito benessere.com. Ciò significa che l’insuccesso non è qualcosa da spiegare e questo perché la linearità tipica della mentalità logica qui non ha alcun senso. Senza contare che l’eventuale intervento di potenze invisibili può agire a insaputa del praticante ritardando o annullando il rituale stesso.
Nella mentalità animista, come in quella magica, lo spazio-tempo razionale è assurdo, esattamente come per chi è abituato al pensiero logico lo è l’assenza di spazio-tempo. Ed ecco perché nei culti animisti, per esempio, è possibile guarire ferite agendo sulle armi che le hanno provocate, dopo averle sottoposte a trattamenti specifici: “in questi casi, infatti, il pensiero non tiene conto che il rapporto causale è ben più di una relazione atemporale tra cose, essendo più precisamente un rapporto tra cambiamenti che avvengono in certi oggetti entro tempi stabiliti, così come quando una lancia ferisce un uomo incidendo un suo organo (Cassirer E., 1967 ).”.
Laura De Rosa