“Cosa c’è di più semplice che mangiare una mela? Eppure, cosa potrebbe esserci di più sacro e significativo? In questo caso, non stiamo soltanto mangiando una mela come fosse una cosa separata da noi. Entra in noi, si dissolve, ci nutre e diventa noi. Ogni mela rappresenta molto di più! Mangiandola mangiamo la pioggia, le nuvole, tutti gli alberi che hanno portato alla nascita della pianta da cui è spuntata nonché le lacrime, il sudore, i corpi e i respiri delle innumerevoli generazioni di animali, piante e persone che, a loro volta, sono diventati la pioggia, l’humus e il vento che hanno nutrito il melo” (W. Tuttle, Cibo per la Pace, p. 18, Ed. Sonda 2014)
“Siamo quello che mangiamo“: nella semplicità di questo detto antico è racchiusa una riflessione molto più profonda di quanto possa apparire di primo acchito (del resto è sempre così, con i proverbi).
Se per un istante ci soffermiamo e pensare a cosa succede di preciso al cibo che quotidianamente ingeriamo, il risultato è abbastanza sorprendente, e al tempo stesso del tutto naturale. Il nostro corpo funziona come un crogiolo alchemico: a partire dalla bocca, con la masticazione e la ptialina contenuta nella saliva, inizia un processo di trasmutazione energetica delle molecole degli alimenti.
Nel tratto digestivo, grazie al nostro Fuoco interno (il metabolismo, che brucia il cibo da cui viene alimentato proprio come le fiamme fanno con la legna), gli alimenti vengono separati nelle loro parti più semplici, convertiti in “materie prime” (proteine, carboidrati, lipidi, fibre, minerali, vitamine, coloranti, conservanti, pesticidi) alcune delle quali sono poi assorbite dalle cellule della nostra mucosa intestinale, passando nel sangue e venendo distribuite alle cellule dei vari distretti del nostro corpo, all’interno delle quali sono accumulate come scorte per tempi di bisogno oppure ulteriormente trasformate in molecole di ATP (adenosintrifosfato, la molecola della vita, energia pure che viene bruciata dalle cellule per svolgere qualsiasi attività, dalla costruzione di altre cellule alla contrazione muscolare).
Questo non vale naturalmente per tutte quelle molecole che il nostro corpo (corpo antico di uomo neolitico) non sa riconoscere, e cioè coloranti, nitrati, pesticidi, eccetera. Queste, non potendo partecipare al ciclo della vita, o vengono eliminate dai reni o con le feci (nel caso più fortunato), oppure vengono stoccate insieme alle riserve, nel fegato o nella massa lipidica, intossicandoci giorno dopo giorno.
Quando noi mangiamo una mela, quella mela, proprio lei, dentro di noi si trasforma e diventa… noi!
Come del resto a loro volta i raggi del sole, l’acqua e i minerali del terreno si sono trasformati, all’interno dell’organismo alchemico albero, diventando la mela. Questa è la vita: un continuo scambio di energia e materia che si trasformano l’una nell’altra, mutando stato senza fermarsi mai. In fin dei conti è sempre la stessa cosa: Dio che gioca a nascondino con se stesso, come diceva Alan Watts, trasformandosi di volta in volta in fiore, volpe, nuvola, carrozza di treno, neonato. Ma la sostanza è sempre quella: vibrazione energetica sintonizzata su varie frequenze, cariche di informazioni. Questo almeno è quanto sostiene la fisica quantistica da una sessantina d’anni a questa parte (e numerose tradizioni spirituali da migliaia di anni a questa parte).
Una volta che si sia fatta mente locale sull’enormità del processo di cui facciamo parte, sulla sua bellezza, mangiare una mela inizia a cambiare significato. Non è più solo “Ho fame, mi sfamo”, ma diviene “Mi connetto all’energia universale accogliendo nelle cellule del mio corpo una parte della Terra”. Il che suona un po’ diverso, bisogna dirlo.
L’atto del mangiare reca con sé un simbolismo potentissimo, che ci influenza a prescindere dal fatto che noi ne siamo consapevoli o meno. I gesti simbolici lavorano a livello inconscio, non c’è bisogno di rifletterci su: la loro magia è già penetrata dentro di noi, comunicando con la nostra parte più profonda, che sta al di là delle parole.
Mangiare è un atto magico. Mangiando qualcosa io mi approprio della sua energia e divento, almeno in parte, quella cosa. Lo sanno bene alcune tribù di aborigeni australiani, che usano seppellire i propri cari dentro di sé, o le tribù preistoriche che si cibavano dei cervelli dei nemici sconfitti per appropriarsi delle loro abilità (a questo proposito, vedere il libro di M. Riefoli, Mangiar sano e naturale, Ed. Macro 2011, pp. 304 e seguenti). Tutte le religioni lo sanno e prevedono pasti rituali e sacri nelle rispettive tradizioni. L’apice lo raggiunge senz’altro il cristianesimo, con il bellissimo, semplicissimo e al tempo stesso ricchissimo di implicazioni (oggi spesso ridotto a mero simulacro) rituale dell’eucaristia, in cui i devoti si cibano del corpo e del sangue del Cristo, diventando lui.
Oggi come oggi però, siamo ben lontani da una concezione simile del pasto. Pensando o facendo altro, mangiamo in fretta cibi morti, precotti, colorati, avvelenati, con un livello energetico bassissimo o addirittura caricati di memorie di terrore e morte (secondo la legge di risonanza, nell’acqua che compone il 70% del nostro corpo come del corpo degli altri mammiferi di cui alcuni di noi si cibano regolarmente, rimangono registrate le informazioni energetiche delle emozioni vissute. Il terrore, la violenza subita, la morte, sono scritti nelle cellule della carne dei cadaveri che possiamo reperire al supermercato o in macelleria. Se questo non bastasse, anche a livello chimico la carne è spesso carica di antibiotici, ormoni della paura come l’adrenalina, sostanze putrefattive il cui processo ha inizio immediatamente dopo la morte dell’animale e altre amenità cancerogene quali l’aldeide malonica).
Il nostro corpo, sacro crogiolo, si trova a dover fronteggiare alimenti a bassissima frequenza, che anziché nutrirlo lo indeboliscono, anziché donargli energia e connetterlo al cosmo lo separano ancora di più, trasmettendo alle sue cellule dolore e paura anziché Amore, e possibilmente risvegliando anche memorie ancestrali che aumentano il suo livello di aggressività e violenza.
Il tutto viene ingurgitato di fretta, parlando o addirittura discutendo, facendo sì cioè che i capillari del nostro stomaco si contraggano anziché dilatarsi per accogliere il cibo, diminuendo la percentuale di vitamine e minerali assorbiti da alimenti che ne sono già poveri. Il risultato è che sempre più spesso si sente parlare di acidità di stomaco, ulcere, crampi, colite, diarrea, stipsi, stress, insonnia, nervosismo, intolleranze, allergie, disturbi alimentari, depressione, infarti, cancro.
Da qualche tempo a questa parte però, una nuova tendenza si sta sviluppando: le persone, o almeno alcune persone, hanno cominciato ad accorgersi che la qualità di ciò che mangiamo è importante, e non solo la qualità fisica, ma anche quella energetica. Molte persone hanno capito inoltre che la scelta del cibo ha delle implicazioni che arrivano molto più in là della semplice catena alimentare.
Ciò che io scelgo di acquistare, influisce sulla domanda del mercato che a sua volta trasforma l’offerta. Se io compro cibi biologici, coltivati in maniera rispettosa di Madre Terra e privi di pesticidi, in modo indiretto sto contribuendo non solo a proteggere la mia salute, ma anche quella della Terra. Come dire, la mela cade lontano dall’albero. Tutto è collegato. Il mio benessere e il benessere di Gaia, la Biosfera, sono la stessa cosa. Piano piano, le persone stanno cominciando a comprenderlo. Anzi, a ricordarlo. Perché una volta, tanto tempo fa, lo sapevamo benissimo. Quando vivevamo a stretto contatto con la Natura, sapevamo di essere uguali agli alberi: con radici che penetrano nel suolo fino a confondersi con lui. Ed è così, non ci vuole un premio Nobel per dimostrarlo, lo sappiamo già tutti perfettamente a livello intuitivo, lo sanno le nostre cellule.
La tendenza a fare attenzione al cibo che si consuma può avere ben più di una motivazione: da quella etica a quella ecologica a quella salutista, da quella delle diete per dimagrire a tutti i costi a quella di chi è semplicemente intollerante o celiaco e quindi è costretto a fare attenzione a ciò che mangia dal suo stesso corpo, che si ribella alla spazzatura. In ogni caso, è possibile vedere ovunque che le persone, per un motivo o per l’altro, stanno sviluppando una nuova consapevolezza nei confronti del cibo. Questo è un segnale positivo, che però può portare anche a estremismi malsani, diete assurde, fanatismi o addirittura disturbi alimentari, quali l’ortoressia (un disturbo alimentare recentemente classificato, più diffuso tra la popolazione maschile e che consiste nella compulsione a mangiare solo cose “giuste”, seguendo una dieta inflessibilmente “corretta”, senza poter fare eccezioni).
Per evitare le derive del malessere e fare in modo che il risveglio della coscienza alimentare e non solo a cui stiamo partecipando si sviluppi in un movimento spirituale positivo e integrato; per non perdere la bussola nel labirinto di diete, consigli contrastanti e corsie di supermercati biologici, è importante ricordarsi di fare una cosa semplicissima (le cose importanti sono sempre molto semplici). Dobbiamo ciò ricordarci di mettere a fuoco cosa significa mangiare (e cucinare), cosa stiamo facendo quando mangiamo. Mangiare è un atto sacro alla cui base c’è sempre l’Amore. E’ l’Amore, in ultima istanza, che permette alle mele di crescere sugli alberi. E’ l’Amore la sostanza che costituisce l’universo (alcuni la chiamano energia, ma è la stessa cosa). E’ l’Amore quel fuoco sacro che arde dentro di noi così come al centro del cosmo e che permette a ogni cosa di cambiare continuamente forma, trasformandosi, evolvendosi fino a quando non riuscirà a riconoscersi dio.
Gli induisti lo chiamano Agni. Agni è il fuoco sacro delle offerte agli dei, ma anche la fiamma che arde nel focolare domestico, così come quella che brucia dentro di noi, vicino al nostro stomaco e in ogni nostra cellula. Agni è il principio del Fuoco, l’elemento Fuoco in tutte le sue manifestazioni. Le manifestazioni sono molte, ma lui è uno solo. Quando mangiamo, ricordiamoci che in realtà stiamo facendo un’offerta al dio del Fuoco che si trova dentro e fuori di noi. Stiamo unendoci alla Terra, stiamo riaffermando la nostra unità con il Tutto, stiamo nutrendoci di Dio. Perciò scegliamo cibi adatti alla bellezza di questo rito, cibi vivi che raccontino alle nostre cellule l’Amore che li ha fatti nascere, cibi connessi al cosmo. Consumiamo i pasti, sia che siamo soli oppure in compagnia, dedicando attenzione al processo alchemico che sta avvenendo in noi e ricordando che i pensieri, le emozioni e il cibo che ingeriamo, diventeranno noi, a livello fisico e sottile, alimentando il fuoco dell’Amore per il quale anche noi siamo legna da ardere e al tempo stesso fiamma che sale al cielo.
“Quando riflettiamo su una mela, vediamo l’universo intero. Tutti i pianeti e le stelle, il sole, la luna, gli oceani, i fiumi, le foreste, i campi e ogni creatura si ritrovano in questa mela. Il melo è la manifestazione di un intreccio infinito di vite, di cui ogni parte è essenziale alla sua esistenza. La mela è il dono dell’albero e dell’universo infinito, che si propaga e si celebra attraverso di essa. I semi cadono, insieme alla mela, e diventano nuovi alberi oppure vengono mangiati dagli uomini, dagli orsi o dagli uccelli e sparsi a una distanza maggiore, perpetuando e beneficiando l’albero e tutto il sistema, realizzandosi in un’enormità, complessità e perfezione assolute.”
(W. Tuttle, Cibo per la Pace, p.19)
Giorgia Rossi
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