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Manicomio di Mombello: Foto Agghiaccianti di Quello che Fu e di Quello che ne Rimane

Di Valeria Bonora - 13 Marzo 2015

Il manicomio di Mombello è una struttura molto particolare, direi inquietante, affacciandosi all’interno di queste mura si potrebbe pensare di aver fatto un balzo dentro un film dell’orrore, eppure una volta, esattamente nel XIV secolo, era una villa sfarzosa; costruita dai nobili lombardi Pusterla, un complesso enorme di quasi un milione di metri quadrati, fatto di padiglioni ricchi di ornamenti, giardini curati, il tutto cintato da mura alte due metri, forse per accentuare la netta separazione tra lo sfarzo interno e il mondo esterno.

manicomio di Mombello

Manicomio di Mombello foto Nicola Vicini © Copyright 2014

Nel corso degli anni si sono avvicendate diverse famiglie all’interno di questa tenuta, dagli Arconati fino ai Crivelli nel 1718.

E fu proprio Stefano Gaetano Crivelli a trasformare questo complesso in lussuosa villa con tanto di giardino all’italiana ricco di fontane e giochi d’acqua; l’edificio veniva spesso utilizzato per ospitare la nobiltà dell’epoca tra cui anche Ferdinando IV di Borbone, re delle Due Sicilie, col passare del tempo divenne anche la roccaforte di Napoleone che la utilizzò come quartier generale durante la campagna d’Italia e fu il luogo dove diede vita alla Repubblica Cisalpina; nella villa risiedevano anche la madre dell’imperatore, Maria Nunziata, e le tre sorelle Carlotta, Elisa e Paolina.

Ma fu nel 1863 che Villa Pusterla-Crivelli-Arconati, acquistata dal Comune di Milano, divenne l’ospedale psichiatrico Giuseppe Antonini, noto a tutti come il «manicomio di Mombello».

Oggi non esiste quasi più nulla di quella cittadella che ospitava gli uffici amministrativi, ma anche un panificio, una lavanderia, un teatro e una piccola ferrovia per trasportare le merci; di tutto questo si è salvata solo Villa Crivelli, attuale sede dell’Istituto tecnico agrario e le palazzine che ospitano l’Istituto commerciale per periti aziendali e il «Corberi», una casa d’ accoglienza per malati psichici gravi.

manicomio di Mombello

Manicomio di Mombello foto Nicola Vicini © Copyright 2014

Ma allora? E già allora perché parlarne… Perché c’è tutta una parte fatta di oltre 40 mila metri quadrati di stanze, celle e corridoi che è rimasta in totale stato di abbandono da quando è entrata in vigore della legge Basaglia nel 1978; quella è la parte che mette i brividi, fa paura, ed è quanto rimane a testimoniare il “colosso dei manicomi italiani“, appellativo alquanto azzeccato visto che la struttura che poteva contenere al massimo 900 pazienti, arrivò ad ospitarne più di 3.000 toccando il massimo di 3.500 durante la prima guerra mondiale.

Il manicomio di Mombello era un luogo spaventoso, ai bambini che non si comportavano bene veniva detto che sarebbero stati portati “al di la del muro“, dove i “matti” camminavano a due a due vestiti di grigio, lenti e barcollanti, osservati dai curiosi da lontano, per non venire visti, per poter scappare in fretta.

Mombell…

… che strano effett
me fan certi paroll!…
… tra capp e coll
piómben e m’insarzissen
lor!

Per di or e di or
qui calavron che ronza
règnen in del cozzon
tant che m’insormentissen…
… Nivol… fantasma… nebbi…
sit…
omen… ideij… on mond,
mi disariss ch’intorna
tutt on mond ghe se forma,
rimm ghe ressònen… vuna
la ciama
l’altra a campana e via
via te filet via
– vol de la fantasia! – …

… Mombell!…
… Mombell!…

dilla… redilla
quella parolla lì
e poeu tórnela a dì
e allora… te comincet
a s’ciariss… a capì…

… bolla d’aria nell’aria
parolla solitaria…
… ferma, che se colora…

~ Dullio Tessa ~

Oggi quei luoghi sono ancora abitati da presenze invisibili, vandali, writer, e senzatetto che cercano un rifugio, tutto quello che è stato possibile rompere e distruggere è stato rotto e distrutto, tutto quello che è stato possibile rubare è stato rubato, ma la struttura resta in piedi, a testimonianza di quanto è stato.

All’interno è possibile vedere graffiti e murales, trovare qualche traccia di qualcuno che vive li perché non ha altro posto dove andare, ma soprattutto si può avvertire la presenza dei fantasmi del passato: quelli si, quelli ti fan drizzare i peli sulle braccia.

Letti di ferro, sedie a rotelle, materassi, lavandini, tavoli, schedari, lastre, bicchieri, testimonianze di un passato spaventoso dove anche il figlio illegittimo di Mussolini, Benito Albino, morì internato nel 1942 ed insieme a lui chissà quanti altri che non hanno nome.

manicomio di Mombello

Manicomio di Mombello foto Nicola Vicini © Copyright 2014

La testimonianza di chi ha deciso di far conoscere a tutti questo manicomio è da brivido, scrive Nicola Vicini, autore di un toccante reportage: “…Si trovano però nell’ex-Ospedale anche materiali che raccontano ancora la degenza dei pazienti della struttura. Si avverte la presenza di persone che ci vivono ancora anche se, magari, saltuariamente. Le emozioni provate durante la realizzazione degli scatti sono state molte e abbastanza forti. Sicuramente, se non si pensa a luogo solo come a un set fotografico si percepisce la disperazione, la malinconia, la solitudine che potevano essere nelle menti dei ricoverati (o rinchiusi) che non so dire se fossero tutti realmente “folli”…”

E’ possibile leggere tutta la testimonianza di chi ha passeggiato per quei corridoi, si è fermato a scattare, ha rubato una foto velocemente per paura che l'”inquilino” abusivo tornasse e la prendesse male, in un reportage fotografico che mette i brividi ma che mette anche in risalto il degrado e l’abbandono non solo del manicomio ma di una società che non è degna di essere chiamata così.

Il fotografo Nicola Vicini offre oltre a foto splendide e toccanti anche uno spunto di riflessione, uno spaccato di un tempo che fu, di un luogo spaventoso dove vigeva l’ignoranza e la violenza di chi vedeva la follia e cercava di “curarla” con la forza e la costrizione, ma anche di un momento moderno dove povertà e disagio si incontrano per ferire rabbiosamente un luogo moribondo di suo.

Vi invito a guardare con attenzione la galleria fotografica di Nicola Vicini e di emozionarvi davanti a queste foto.

Valeria Bonora





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